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di Beppe Severgnini


Corriere della Sera, 12 aprile 2021

 

La pandemia mette in luce le caratteristiche di un popolo che, nel bene e nel male, balzano agli occhi. Oggi un nuovo assaggio di libertà, in buona parte d'Italia. Tutte le Regioni - tranne Campania, Puglia, Sardegna e Valle d'Aosta - passano dalla zona rossa alla zona arancione. Per la Lombardia è il diciassettesimo cambio cromatico. La variazione permette di uscire liberamente di casa, all'interno del comune. Negozi, parrucchieri e centri estetici sono aperti. I ragazzi fino alla terza media possono rientrare a scuola; anche metà degli studenti delle superiori tornano in aula. Rientrano gli universitari. Restano le restrizioni per bar e ristoranti: solo asporto. Rimane il coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino.

Resta anche una consapevolezza: l'entrata nella fase acuta della pandemia - è accaduto tre volte in un anno - è sempre rapida e drammatica. L'uscita - ogni volta - si rivela lenta, complicata e faticosa. La fatica non consiste solo nel rispettare le regole. È faticoso anche guardarsi intorno e capire che alcuni non l'hanno fatto, non lo fanno e non lo faranno.

Ci sono violazioni veniali: le uscite di casa, anche in zona rossa, sono ormai lasciate alle responsabilità individuali (un'autoregolamentazione ufficiosa e silenziosa, secondo la migliore tradizione nazionale). Ci sono poi violazioni dettate dall'età e dall'esasperazione: mi chiedo chi si sia avvicinato a un gruppetto di adolescenti intimandogli di mantenere le distanze. Ci sono, infine, violazioni irritanti: dai bar che chiudono la porta d'ingresso e aprono quella sul retro; al calcio, che insiste per ottenere privilegi (come può, il governo, garantire che gli stadi italiani saranno aperti per i campionati Europei?).

I media, com'è giusto, devono segnalare episodi ed eccessi, che purtroppo non sono mancati. Ma non sono trecento esagitati riuniti a Milano per un video rap a rivelare la temperatura sociale. In grandissima maggioranza - ripetiamolo, anche se molti non vogliono sentirlo dire - noi italiani abbiamo dimostrato tenacia e pazienza. Alcuni hanno sofferto - soffrono ancora - più di altri. Sarebbe opportuno pensare a loro: sostegni e ristori servono a galleggiare, non a riprendere la navigazione.

A tutti viene chiesto un ultimo sforzo. Senza impegno individuale, l'uscita sarà più lunga e complicata. Mario Draghi lo ha ripetuto parlando delle vaccinazioni, che considera - giustamente - fondamentali. Una sua frase - e il tono con cui l'ha pronunciata - ha colpito molti: "Con che coscienza si salta la fila per i vaccini?!".

Il presidente del Consiglio ha ragione: troppi italiani sono diventati "salta-fila". Ma si è trattato, quasi sempre, di un salto di gruppo. In regioni diverse, diverse categorie hanno ottenuto la priorità. Molti si sono sentiti giustificati: non hanno chiesto il vaccino in anticipo, lo hanno accettato. L'appartenenza è spesso più forte della coscienza, in Italia.

La determinazione con cui il premier si è appellato alla responsabilità dei singoli, giovedì nel corso della conferenza stampa, è condivisibile. Ma avrebbe potuto ricordare la superficialità (il cinismo?) di molte Regioni, che hanno utilizzato una scappatoia nel decreto - la categoria "altro" - per vaccinare 2 milioni e 300 mila persone che non erano né anziane né fragili, né sanitari né forze dell'ordine. Un quinto del totale. Non si poteva scrivere meglio, quella norma?

Un'espressione tristemente popolare recita: "Tutti colpevoli, nessun colpevole!". Non è questo il caso. Tutti colpevoli, almeno un po'; nessuno interamente innocente. Se ne siamo convinti, da qui si può ripartire. Governo, Regioni e categorie, ormai, dovrebbero avere imparato dai propri errori. Così noi cittadini. Se d'ora in poi ognuna farà la propria parte, e i vaccini arriveranno come promesso, potremo tornare liberi. Finalmente. La pandemia - quante volte lo abbiamo detto, scritto, letto, ascoltato? - è un evidenziatore: le caratteristiche di un popolo, nel bene e nel male, balzano agli occhi. Negli ultimi quattordici mesi abbiamo visto di tutto, ma c'è una qualità italiana di cui s'è parlato poco: le cose le capiamo al volo. Tempo di usarla, quell'intelligenza. Ci mostrerà l'uscita.