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di Piero Bianucci


La Stampa, 12 aprile 2021

 

L'Oms calcola che le vittime della pandemia siano tre volte di più contando quelle indirette. Nel mondo milioni di persone colpite da tumori, ictus e infarti si scontrano con ospedali saturi e sempre in emergenza. Nel mondo la pandemia sta raggiungendo i tre milioni di morti e questo tv e giornali lo dicono. Ma pochi aggiungono che le vittime indirette sono ancora di più. Tra le conseguenze tragiche del Covid la meno nota ma per certi aspetti la più grave è che milioni di persone con altre patologie non vengono curate perché gli ospedali affondano nell'emergenza. Sono vittime indirette del Covid i malati di cancro (19 milioni di nuovi casi ogni anno nel mondo), scarseggiano le terapie intensive per chi è colpito da ictus cerebrale (15 milioni di persone l'anno) e da malattie cardiovascolari (18 milioni). Secondo l'OMS la mortalità per ictus e infarto si è triplicata da quando siamo alle prese con il Covid. Tenendo conto anche dei tumori e delle diagnosi rinviate, si può stimare che le vittime della pandemia come minimo siano non 3 ma 9 milioni. Un enorme patrimonio di conoscenze e terapie che potrebbero salvare milioni di vite è come in oblio. Le abbiamo, sapremmo applicarle, ma non possiamo.

Crollo e risalita - I trapianti di organi (in ordine di frequenza reni, fegato, cuore) sono una inattesa (parziale) eccezione, forse anche perché è umanamente intollerabile avere a disposizione un organo donato e gettarlo nella spazzatura. Nel mondo in tempi normali si fanno 200 mila trapianti all'anno. La rivista "Trapianti" ha cercato di disegnare il quadro per l'Italia del Covid. In effetti all'inizio, dopo un 2019 ancora in crescita, il calo di donazioni e trapianti è stato forte. Il crollo ha sfiorato il 40 per cento. Ma poco per volta la situazione è quasi tornata al livello precedente. Non solo. Oggi sappiamo che le persone con trapianto possono essere vaccinate nonostante la terapia immunosoppressiva. E in alcuni casi la terapia sembra addirittura proteggere dal virus. Giuseppe Remuzzi, farmacologo, uno dei nostri migliori ricercatori, direttore dell'Istituto "Mario Negri", ha segnalato una ricerca comparsa su "Nature": 6 geni del cromosoma 3 renderebbero alcune persone più vulnerabili al Covid, altre invece le proteggerebbero.

Numeri sorprendenti - C'è anche una sorpresa nella sorpresa: per i trapianti il Piemonte è in controtendenza. Nel 2020 gli organi trapiantati sono stati 460: precisamente, 247 reni, 158 fegati, 26 cuori, 22 polmoni e 7 pancreas, alcune volte assieme, per un totale di 443 interventi di trapianto (il 6 per cento in più rispetto ai 419 eseguiti nel 2019). Quarantasette trapianti (e solo di rene) sono stati eseguiti nell'ospedale di Novara, 388 alle Molinette e 8 all'Ospedale pediatrico di Torino. Le Molinette sono anche l'ospedale italiano che nel 2020 ha eseguito il maggior numero di trapianti di fegato (158) e di rene (200, una cifra mai raggiunta da un singolo ospedale in Italia).

Bisturi e cronometro - È interessante prendere nota di questi dati mentre arriva in libreria "Un chirurgo tra bisturi e cronometro", biografia di Mauro Salizzoni, testo e interviste di Marina Rota (Hever Editore, 246 pagine, 20 euro).

Il nome di Salizzoni è legato ai trapianti di fegato. E la storia dei trapianti di fegato è davvero straordinaria. Ho sempre trovato sbalorditivo che soltanto 66 anni intercorrano tra il primo volo dell'aereo dei Fratelli Wright - una decina di metri su una spiaggia della Florida - e lo sbarco di Neil Armstrong sulla Luna. Ma che dire dell'evoluzione dei trapianti di fegato dal primo infelice esperimento di Thomas Starzl nel 1963 alla tecnica dello "split" (scissione) che dal 1988 permette di salvare due pazienti - di solito un adulto e un bambino - suddividendo il fegato di un singolo donatore?

Rapidi progressi - Nato a Ivrea nel 1948, Salizzoni ha attraversato da protagonista un'epoca gloriosa della chirurgia. L'anagrafe mi ha assegnato quattro anni più di lui, e il lavoro di giornalista scientifico mi ha portato, sia pure indirettamente, a seguire passo dopo passo questa epopea: dai primi trapianti realizzati con buoni dati di sopravvivenza ma ancora esposti a una difficile vita post-operatoria alla introduzione della ciclosporina come decisivo farmaco antirigetto; dal primo "split" tentato da Rudolf Pichlmayr agli acrobatici trapianti multi-organo e "domino" - eseguiti in simultanea tra due persone delle quali una donatrice vivente, in modo che ne beneficino entrambe utilizzando un solo fegato donato da cadavere - fino agli ultimi sviluppi tecnologici e scientifici, tuttora in corso.

Un pioniere a Milano - Il fegato è il più massiccio dei nostri organi (il cervello è al secondo posto: dato su cui riflettere), il più irrorato dal sangue, uno dei più complessi per le funzioni vitali che svolge, misteriosamente capace di rigenerarsi. Nell'avvicinarmi al mondo dei trapianti epatici, importante per me fu l'incontro con Luigi Rainero Fassati, altro pioniere del settore, 85 anni, già ordinario di Chirurgia sostitutiva all'Università di Milano, autore di centinaia di pubblicazioni e anche di romanzi di successo.

L'ho avuto tra i collaboratori del supplemento "Tuttoscienze" a "La Stampa" e poi tra i conferenzieri di "GiovedìScienza". Fu lui a spiegarmi che all'inizio i trapianti di fegato, oltre ad essere molto faticosi per la durata (e lo sono ancora), spesso per il medico erano frustranti perché i pazienti arrivavano in sala operatoria come all'ultima spiaggia, in condizioni così disperate da rendere improbabile la sopravvivenza nonostante la perfetta esecuzione dell'intervento.

Primati torinesi - Il Centro Trapianto di Fegato di Torino, uno dei migliori al mondo, è una creatura di Salizzoni nata nel 1990. Nel 1998 fu il primo Centro in Italia ad avere un "fegato artificiale", dispositivo di supporto per pazienti colpiti da insufficienza epatica fulminante, fino ad allora disponibile solo a Boston e a Parigi.

Dopo un esordio timido e prudente, un trapianto al mese, si è arrivati a superare i 150 in un anno. Il millesimo fu contrassegnato da una coincidenza quasi incredibile: toccò al fratello di colui che il 10 ottobre 1990 era stato il primo destinatario di un trapianto epatico all'Ospedale Molinette, un paziente di 44 anni colpito da epatite virale, che sopravvivrà per 13 anni.

Il 17 luglio 2017 l'équipe di Salizzoni ha tagliato il traguardo di tremila trapianti, 126 dei quali con tecnica "split", 57 in combinazione con altri organi (rene, pancreas, polmone), 14 da donatore vivente, sei con tecnica domino. Poco più di un anno dopo, il 1° novembre 2018, per Salizzoni con cecità burocratica arriva inesorabilmente il giorno del pensionamento: scadenza vissuta come un lutto, attenuato soltanto dalla consapevolezza di lasciare una équipe che terrà alta la fama conquistata in trent'anni di successi.