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di Elvira Serra


Corriere della Sera, 12 aprile 2021

 

Il delicato dibattito sul fine vita e il vuoto legislativo che l'Italia continua a non colmare. In Francia all'Assemblea nazionale è cominciato il dibattito per la legge su "un fine vita libero e scelto". Ne ha scritto qualche giorno fa Stefano Montefiori, rilevando l'intemerata dell'insigne scrittore Michel Houellebecq, che sulle colonne di Le Figaro non ha esitato a dire: "Quando un Paese arriva a legalizzare l'eutanasia, ai miei occhi perde qualsiasi diritto al rispetto. Diventa allora non solamente legittimo, ma anche auspicabile distruggerlo, affinché qualcos'altro possa sostituirlo".

La sua posizione merita le più attente riflessioni, tant'è che giovedì, quando è cominciata la discussione all'interno del Palais-Bourbon, la legge si è arenata al primo articolo, sommersa da tremila emendamenti contrari. Tuttavia, per parafrasare Houellebecq, il Paese degno del maggior rispetto è quello che sa esercitare la pietà, il sentimento della compassione nei confronti di chi soffre. Proviamo adesso a riavvolgere il nastro al 27 febbraio 2017. Alle 11.40 di quel mattino si spegne in una clinica di Zurigo Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo: aveva 39 anni ed era cieco e tetraplegico dal 2014, dopo un incidente stradale.

Accanto a lui ci sono la compagna, Valeria Imbrogno, cuore d'acciaio, instancabile nel supportare l'uomo che ama, e la madre, Carmen Corollo, schiantata dal dolore di perdere un figlio nondimeno così illuminata da sussurrargli: "Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada". Dj Fabo aveva scelto liberamente di morire, di fronte a un futuro che non gli dava speranza, mortificava la sua vita a una costante assistenza passiva e lo costringeva a grandi sofferenze.

Quattro anni dopo un altro giovane uomo, Roberto Sanna, 34 anni di Pula, in Sardegna, dà l'addio alla madre Marina, alla compagna Gioia, al fratello Andrea e allo zio Aldo in un asettico letto in Svizzera. Lontano dalla propria casa, dal padre, dagli amici.

Un saluto difficilissimo, costoso, ma per lui necessario. Eppure la Corte Costituzionale con la sentenza numero 242 del 2019 ha riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito per chi ne faccia richiesta in piena lucidità, con una patologia irreversibile, insopportabili sofferenze e sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Gli ermellini hanno anche invitato il Parlamento a colmare il vuoto legislativo. Un vuoto che oggi rimbomba.