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di Riccardo Riccardi


Il Tempo, 6 marzo 2021

 

Il giustizialista non può essere democratico. Per definizione. Il suono che ama è il tintinnar di manette. Lo esaltano la gogna mediatici, lo sbattere il mostro in prima pagina. È un acceso sostenitore di leggi punitive che, se non più di moda il rogo, devono prevedere pene rigorose nella convinzione che tutti siamo colpevoli anche se ignari del misfatto compiuto.

Da passare per le armi. Le leggi, abbattuto il dispotismo, hanno una funzione di indirizzo a tutela dei cittadini. Chi commette dei reati è giusto che paghi e che sconti la privazione della libertà che, secondo Frà Savonarola, "è più preziosa che l'oro e l'argento". Per Montesquieu, però, "la pena che non derivi dalla assoluta necessità è tirannica".

Tanto che per Victor Hugo "essere buono è facile il difficile è d'esser giusto". Sono anni che sentiamo ripetere come l'Italia soffra di una asfissiante burocrazia che, per normative sovrapposte e contraddittorie, toglie il fiato a tante iniziative economiche. La conseguenza è la deficienza di produttività che impedisce la modernizzazione del Paese sostenuto a debito e provvidenze. Micce pericolosamente accese sempre più vicine al barile di polvere. La funzione dello Stato è quella di regolatore altrimenti diventa oppressivo e secondo Tacito "non c'è mai da fidarsi di un potere eccessivo"

Negli anni tanti hanno auspicato le riforme in particolare quella della giustizia sia civile che penale. La prima per dare certezza al mondo degli affari, grandi o piccoli che siano, la seconda per ridare al Paese, una volta Maestro, la civiltà giuridica. Che, non va dimenticato, è la base per ridurre la povertà, creare posti di lavoro e ridare al nostro Paese la dignità che merita.