sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Maurizio Tortorella


Panorama, 3 marzo 2021

 

Archiviata la disastrosa gestione di Alfonso Bonafede, ora tocca alla giurista Marta Cartabia affrontare una delle più gravi emergenze italiane. Ma è quasi una certezza che la sua azione troverà un freno nella parte - decisiva - della magistratura impermeabile a ogni riforma. Così le enunciazioni fatte dal premier al suo insediamento resteranno lettera morta.

Volete sapere se davvero Marta Cartabia, presidente emerito della Corte costituzionale e ministro "tecnico" della Giustizia, porrà mano ai disastri della più screditata macchina giudiziaria europea? Sperate risolverà i problemi lasciati dal suo predecessore, il grillino Alfonso Bonafede?

Per sapere se ci riuscirà, servirebbe un aggiornamento a oggi delle chat di Luca Palamara, il magistrato farisaicamente radiato dall'ordine giudiziario dopo decenni trascorsi a manovrarne nell'ombra i vertici rimbalzando tra il sindacato di categoria, l'Associazione nazionale magistrati, e il Consiglio superiore della magistratura. In quelle due sedi, per conto della sua corrente Unicost, Palamara trattava con le altre correnti per stabilire nomine e le promozioni in barba alle regole e alle qualità professionali dei candidati.

Ecco. Per capire come andrà a finire la Giustizia sotto il regno di Cartabia, basterebbe gettare un'occhiata nel telefonino di chi oggi ha preso il posto di Palamara oppure nei cellulari dei suoi omologhi capi-corrente, che in questo stesso momento sono sicuramente impegnati a brigare per piazzare gli uomini "giusti" attorno al nuovo Guardasigilli. Perché capi e vicecapi di Gabinetto, consiglieri personali del ministro, direttori di dipartimento e capi dei vari uffici legislativi sono tutti magistrati, e vengono nominati da accordi sotterranei tra le correnti, cui rispondono con fedeltà assoluta.

Il ministro a volte sceglie, ma il più delle volte crede di scegliere: quel che è certo è che la struttura che l'attornia è molto più forte di lui (o di lei) e segue regole incancrenite che limitano la sua libertà. Vi stupisce? Da decenni oltre 200 magistrati italiani su circa 9 mila non lavorano in tribunale, ma sono collocati a turno "fuori servizio". A decidere dove debbano andare è il Csm che, in base alle stesse regole correntizie che regolano promozioni e nomine, li designa ai posti di vertice dei principali ministeri, a partire da quello della Giustizia.

Questi 200 magistrati "fuori servizio", in realtà, sono in prima linea: incarnano la fondamentale missione di proteggere la loro corporazione e di evitarle perdite di potere. Sono nei ministeri anche per impedire ogni cambiamento che la magistratura percepisca come "peggiorativo". Ovviamente per sé. Non è disfattismo, questo: è realismo. Il cellulare di Palamara, intercettato, ha reso evidente soltanto una minima parte degli intrallazzi, delle vendette, delle faziosità della nostra magistratura sindacalizzata, la cui strapotenza fa paura.

Non per nulla, gli ultimi due governi che non hanno subìto problemi giudiziari sono stati quelli di Enrico Letta e Paolo Gentiloni, perché non hanno tentato la minima riforma dell'ordinamento. È anche per questo se il programma sulla giustizia che Mario Draghi ha dettato al Parlamento è stato così prudente e laconico.

Draghi ha detto, testuale, che vorrebbe "aumentare l'efficienza del sistema giudiziario civile, favorendo lo smaltimento dell'arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo". Stop. Quanto al penale, ha detto che intende favorire "la repressione della corruzione" e "tempi ragionevoli per il processo".

Stop. Questo, secondo gli ottimisti, dovrebbe indicare che il suo governo vuole retrocedere dal blocco della prescrizione dopo una sentenza di primo grado, introdotto dallo scorso gennaio dal ministro Bonafede e osteggiato da garantisti e da chiunque abbia un minimo di buon senso perché, togliendo l'unico pungolo ad accelerare i tempi dei procedimenti, decreta non abbiano fine.

Sulla giustizia civile, Draghi sa bene che le inefficienze dei nostri tribunali costano all'Italia tra uno e due punti percentuali di Prodotto interno lordo, soprattutto per i mancati investimenti dall'estero: chi si metterebbe mai a investire in un Paese dove una sentenza definitiva per inadempienza contrattuale arriva in media dopo sette anni?

Per questo il ministro Cartabia dovrà spendere bene in questo settore alcuni dei miliardi del Recovery fund. Ma sulla giustizia penale il nuovo guardasigilli troverà il fuoco di sbarramento dei grillini e di buona parte del Pd. Sulla prescrizione, per esempio, la grande maggioranza che sostiene Draghi è già in paralisi da conflitto. Tanto che il ministro Cartabia ha appena annunciato che "il nodo della prescrizione va affrontato all'interno delle riforme del processo penale, in un disegno più organico che consenta il bilanciamento dei principi costituzionali": questo significa che ogni tipo di riforma passerà attraverso una legge-delega del Parlamento al governo, che solo a quel punto potrà legiferare.

Quindi servirà molto tempo. E quasi certamente non sarà questo governo a occuparsene. Non sarà facile, insomma, che i prossimi mesi portino con sé la riforma che dovrebbe "tagliare le unghie" alle correnti, tornate attive come prima di Palamara nel Csm e nelle procure della Repubblica, nei tribunali e nei ministeri.

Il centrodestra, ma anche molti giuristi che di destra non sono, si sono convinti che per sottrarre il Csm alle correnti ci sia un'unica strada, quasi disperata: quella di sceglierne i 16 membri togati attraverso il sorteggio da un "paniere" di magistrati altamente qualificati. L'estrazione a sorte dovrebbe evitare accordi preventivi e camarille. Chissà che cosa stanno organizzando le correnti, per bloccare anche questo.