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di Antonella Mascali


Il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2021

 

Il divieto per i detenuti al 41bis, mafiosi e terroristi, di avere, in tempo di Covid, colloqui con i

figli minori via Skype sarà al vaglio della Corte costituzionale il g marzo. Il ricorso è del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che ha accolto l'eccezione di incostituzionalità presentata dalla difesa di un boss sottoposto al carcere duro, a cui era stato vietato un video-colloquio via Skype con la figlia di 5 anni.

A causa della pandemia, per quanto riguarda i colloqui dei detenuti al 41bis, il decreto Bonafede del 10 maggio 2020 prevede che quelli in presenza siano sostituiti da colloqui telefonici. Invece, per i detenuti comuni, al posto delle visite ci possono essere colloqui-video. Secondo il tribunale reggino il divieto di video-colloqui per i detenuti al 41bis, esteso anche a quelli con i figli minori, sancisce una disparità di trattamento con i figli sotto i 18 anni dei detenuti comuni.

Ci sarebbe anche una "lesione di diritti inviolabili dei minori stessi, come quello di intrattenere rapporti affettivi con i familiari detenuti, idonei a garantire un corretto sviluppo della loro personalità e una condizione di benessere psico-fisico del minore". I giudici denunciano perciò la violazione di una serie di norme della Costituzione (articoli 2, 3, 30 e 31 oltre che l'articolo 27), perché fondamentale "per il recupero sociale del reo è il mantenimento dei rapporti familiari e soprattutto genitoriali".

Sarebbe leso anche l'articolo 117 della Costituzione, in riferimento agli articoli 3 e 8 della Carta europea dei diritti dell'uomo (Cedu), che vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il rispetto alla vita familiare. La questione è molto più complessa di quanto possa apparire, proprio perché si parla di minorenni e della loro tutela.

Ma in questi anni ci sono stati alcuni casi in cui, durante colloqui dal vivo, figli minori anche molto piccoli sono stati usati senza alcuno scrupolo per passare "pizzini" ai padri detenuti al 41bis. È vero che in questo caso si parla di video-colloqui, ma diversi inquirenti sostengono che sarebbe impossibile per gli agenti della polizia penitenziaria controllare che eventuali conversazioni via Skype con i figli minori non servano a qualche boss detenuto per dare e avere messaggi con i segni, magari grazie al genitore o qualcun altro che sta accanto al minore.