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di Piera Laurenza


sicurezzainternazionale.luiss.it, 3 marzo 2021

 

Un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che decine di migliaia di siriani, detenuti "arbitrariamente" nel corso del conflitto, sono scomparsi e il loro destino è al momento ignoto. Il rapporto, che si prevede verrà presentato al Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu l'11 marzo prossimo, si basa su più di 2500 interviste condotte nel corso degli ultimi dieci anni. Il quadro presentato, definito "orribile", include violazioni dei diritti umani, torture sistematiche, stupri e altri crimini perpetrati all'interno di circa 100 strutture di detenzione in Siria sin dallo scoppio del conflitto, il cui inizio risale al 15 marzo 2011. A detta degli autori della relazione, ovvero "investigatori" delle Nazioni Unite, molte di queste violazioni sono paragonabili a crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Quanto raccontato è stato poi definito un "trauma" che influenzerà la società siriana per decenni.

Stando a quanto riferito da un membro della commissione onusiana, Hanny Megally, la detenzione arbitraria ha rappresentato una forma di punizione impiegata contro oppositori e voci critiche legate ad entrambe le parti belligeranti, sebbene sia stata utilizzata soprattutto dal governo di Damasco affiliato al presidente siriano Bashar al-Assad. Come precisato da Megally, scopo delle autorità siriane era intimidire e terrorizzare la nazione e, per fare ciò, i siriani detenuti sono stati vittima di "trattamenti brutali". Sono migliaia i cittadini scomparsi con la forza, per mano del governo damasceno, i quali si pensa siano morti o giustiziati, mentre altri sono tuttora trattenuti in condizioni definite "disumane".

Tali azioni, è stato poi affermato, sono state perpetrate nonostante gli alleati e gli attori terzi che sostengono le parti impegnate nel conflitto fossero a conoscenza di quanto accaduto. Motivo per cui, secondo Megally, sono proprio tali Stati terzi a doversi impegnare per scoraggiare comportamenti simili, dalla tortura alla detenzione arbitraria, all'uccisione o sparizione forzata di detenuti, fino alla violenza di genere contro prigionieri. Al contempo, è stato evidenziato come dovrebbero essere gli stessi sostenitori a porre fine alle forme di sostegno, sia finanziario sia in termini di armi, contro i diversi gruppi armati. "Le sofferenze di centinaia di migliaia di familiari devono terminare" è stato ribadito, esortando le parti coinvolte a rivelare il destino dei prigionieri, al momento ignoto, attraverso la creazione di un meccanismo internazionale, con cui localizzare le persone scomparse e i loro resti.

Parallelamente, è stata messa in luce la necessità di rilasciare coloro che sono ancora detenuti, viste le minacce derivanti dalla diffusione della pandemia di Covid-19 in prigioni sovraffollate, altresì caratterizzate da condizioni igienico-sanitarie precarie. Il rischio è che il virus si diffonda, in un secondo momento, anche nelle aree circostanti, divenendo, in tal modo, una seria minaccia per l'intero Paese. Alla luce di un quadro simile, è stato chiesto che gli autori dei crimini denunciati siano portati dinanzi alla giustizia e che gli Stati membri delle Nazioni Unite mettano in atto quella legislazione che consenta loro di perseguire i singoli responsabili, così come accaduto di recente in Germania. Sebbene sia stato messo particolarmente in rilievo il ruolo del governo di Damasco nel perpetrare quelli che sono stati definiti crimini, anche altri gruppi armati attivi in Siria sono stati ritenuti responsabili di sparizioni forzate e abusi. Tra questi, le forze congiunte di Free Syrian Army (FSA), Syrian National Army (SNA) e le Syrian Democratic Forces (SDF). Non da ultimo, sono state incluse le azioni perpetrate dai gruppi terroristici quali Hay'at Tahrir al-Sham e lo Stato Islamico.

Il perdurante conflitto siriano è oramai in corso da circa dieci anni. L'esercito del regime siriano è coadiuvato da Mosca, mentre sul fronte opposto vi sono i ribelli, i quali ricevono il sostegno della Turchia. Sono diverse le regioni tuttora oggetto di un clima teso. Tra queste, il governatorato Nord-occidentale di Idlib, il quale rappresenta l'ultima roccaforte posta ancora sotto il controllo delle forze di opposizione, al centro di una violenta offensiva fino al 5 marzo 2020. In tale data, il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, hanno concordato una tregua, volta a favorire il ritorno degli sfollati e rifugiati siriani. Tuttavia, le violazioni, seppur sporadiche, hanno spesso fatto temere il riaccendersi di tensioni.