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di Marta Cartabia


Il Dubbio, 16 febbraio 2021

 

Pubblichiamo un estratto della relazione del 2020 dell'allora presidente della Corte Costituzionale e nuovo guardasigilli.

"Occorre muovere da una considerazione, solo apparentemente ovvia e banale: il compito di garantire e attuare i principi costituzionali è di per sé inesauribile e coinvolge tutte le Istituzioni repubblicane. Vero è che alla Corte costituzionale spetta una funzione insostituibile, che è quella di assicurare il rispetto dei principi costituzionali anche da parte del Legislatore.

È altresì vero, però, che la piena attuazione dei principi costituzionali ha un carattere necessariamente corale e richiede l'attiva, leale collaborazione di tutte le Istituzioni: Giudici ordinari, Corti sovranazionali, Regioni, Pubblica Amministrazione e soprattutto Legislatore nazionale.

Come già sottolineato dal presidente Lattanzi nella 7 relazione dello scorso anno, le pronunce della Corte costituzionale sono, molto spesso, "più che il punto conclusivo di una certa vicenda, il punto intermedio di uno sviluppo normativo che trova compimento solo quando il Legislatore lo conclude". O meglio, con una sentenza della Corte si conclude in via definitiva una questione di costituzionalità: contro le sentenze della Corte costituzionale non è ammessa alcuna forma di impugnazione (art. 137 della Costituzione); ma la decisione della Corte non è che un frammento di un processo e di una dinamica ordinamentale che prosegue in altre sedi.

Di qui la necessaria cooperazione che deve governare i rapporti tra tutte le Istituzioni. Le proficue relazioni tra la Corte costituzionale e gli altri Giudici sono ormai un dato acquisito dell'esperienza italiana di giustizia costituzionale e pressoché unico nel quadro del diritto comparato, che ha portato storicamente e porta tuttora frutti preziosi in termini di effettività del sistema di controllo di costituzionalità. Altrettanto importante per ricondurre a Costituzione l'ordinamento legislativo, tuttavia, è anche il rapporto di collaborazione tra la Corte costituzionale e il Legislatore - Governo e Parlamento - essenziale quanto il rispetto della necessaria separazione dei poteri. Separazione e cooperazione tra poteri sono due pilastri coessenziali e complementari che reggono l'architettura costituzionale repubblicana.

L'indipendenza reciproca tra i poteri non contraddice la necessaria interdipendenza fra gli stessi, specie in società ad alto tasso di complessità, come sono quelle contemporanee. Da tempo e in numerose circostanze la giurisprudenza costituzionale ha affermato la centralità del principio costituzionale di leale cooperazione, non solo con le altre giurisdizioni, nazionali ed europee, non solo nei rapporti tra Stato e Regioni, ma anche, e soprattutto, nei rapporti tra gli 8 organi costituzionali, come condizione fondamentale per un corretto funzionamento del sistema istituzionale e della forma di governo.

Il terreno su cui si fa urgente, direi improcrastinabile, la cooperazione da parte del Legislatore è quello delle cosiddette "sentenze monito". Accade frequentemente che nelle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale - di accoglimento, di rigetto o di inammissibilità - si incontrino espressioni che sollecitano il Legislatore a intervenire su una determinata disciplina, allorché la Corte individui aspetti problematici che sfuggono alle sue possibilità di intervento e che richiedono invece un'azione delle Camere. Di norma, tali affermazioni sono denominate come "moniti" al Legislatore, ma si tratta più propriamente di "inviti" rivolti al Governo e alle Camere, in spirito cooperativo, per porre rimedio a situazioni normative problematiche, obsolete o comunque suscettibili di evolvere in un vero e proprio attrito con i principi costituzionali.

Nel corso del 2019 si incontrano numerosi esempi, in vari ambiti (raccolti dal Servizio studi in un apposito documento): in materia previdenziale, finanziaria e di bilancio, di riscossione fiscale, penale e dell'esecuzione penale e molti altri. Spesso i "moniti" danno luogo al fenomeno delle cd. "doppie pronunce": in un primo momento la Corte indica al Parlamento i punti problematici che richiederebbero una modifica legislativa, ma se il problema persiste e continua ad essere portato all'esame della Corte, questa non può che porre essa stessa rimedio, utilizzando gli strumenti normativi a disposizione. Un esempio è costituito dalla sentenza n. 40, avente ad oggetto le misure sanzionatorie dei reati in materia di traffico di stupefacenti, ultima di una 13 lunga serie in cui la Corte aveva invano sollecitato il Legislatore a sanare un vizio di proporzionalità della pena. Non mancano, fortunatamente, esempi virtuosi, in cui la collaborazione con il Parlamento ha tempestivamente funzionato, com'è accaduto con la sentenza n. 20 in materia di pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi e dei dati patrimoniali dei dirigenti pubblici e dei loro congiunti. A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, il legislatore ha raccolto l'invito della Corte costituzionale con il decreto-legge 30 dicembre 2019 n. 162 (cd. "Mille-proroghe"), in attesa di attuazione con apposito regolamento governativo.

Un'attenzione particolare è stata riservata, nel 2019, alla giustizia penale, proseguendo il cammino tracciato negli ultimi anni. Le novità non attengono tanto al terreno del processo penale, quanto ai terreni del diritto penitenziario e dello stesso diritto penale sostanziale, nel quale la giurisprudenza costituzionale si era mossa in passato con grande deferenza verso la discrezionalità legislativa.

Tuttavia, è sembrato sempre più inaccettabile che proprio là dove vengono in rilevo i diritti fondamentali della persona di fronte alla potestà punitiva dello Stato, la Corte dovesse arrestare il proprio sindacato per mancanza di univoche soluzioni: perciò, anche in questo ambito una nuova sensibilità ha imposto alla Corte di rinvenire nell'ordinamento soluzioni adeguate a rimuovere la norma lesiva della Costituzione, allo stesso tempo preservando la discrezionalità del Legislatore.

Nella giurisprudenza costituzionale degli anni più recenti emergono alcuni principi fondamentali alla luce dei quali la Corte svolge un vaglio di legittimità più puntuale anche in questi settori. Il principio di proporzionalità della pena, implicito nel principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e nella 16 finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.), ed esplicitamente formulato nella giurisprudenza delle Corti europee. In applicazione del principio di proporzionalità la Corte si è pronunciata, con esiti opposti, nella sentenza n. 40, in materia di reati legati al traffico di stupefacenti, e nella sentenza n. 284, in materia di oltraggio a pubblico ufficiale.

Altri principi che stanno guidando la giurisprudenza della Corte sono quelli della individualizzazione e della flessibilità del trattamento penitenziario, orientati alla piena realizzazione della finalità rieducativa della pena richiesta dall'articolo 27 della Costituzione. Nel 2019 tali principi hanno condotto la Corte a decisioni di grande impatto. Ad esempio, la sentenza n. 99 ha esteso l'ambito di applicazione della detenzione domiciliare, nel caso di condannati affetti da gravi malattie psichiche sopravvenute all'inizio dell'esecuzione della pena.

Ma di speciale rilievo è la sentenza n. 253, che ha dichiarato illegittimo l'articolo 4bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui non consente ai condannati per i delitti ivi elencati la concessione di permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

La Corte ha ritenuto che la vigente disciplina, introducendo una preclusione assoluta alla concessione del beneficio dei permessi premio, impedisse ogni verifica in concreto del percorso di risocializzazione compiuto in carcere dal detenuto, rischiando di arrestare sul nascere tale percorso. Una tale presunzione deve poter essere superata attraverso la dimostrazione caso per caso dell'avvenuto distacco del condannato dal contesto associativo di riferimento, e della insussistenza di un pericolo di ripristino di tale collegamento durante la fruizione del beneficio.

Anche nel tempo presente, dunque, ancora una volta è la Carta costituzionale così com'è - con il suo equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie, diritti, doveri e responsabilità - a offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare "per l'alto mare aperto" dell'emergenza e del dopo- emergenza che ci attende. L'intera Repubblica e tutte le sue Istituzioni - politiche e giurisdizionali; statali, regionali, locali - stanno indefessamente lavorando nella cornice europea per il comune obiettivo di servire al meglio le esigenze dei singoli cittadini e dell'intera comunità. Nella società civile sono ovunque fiorite iniziative spontanee di solidarietà. Alle Istituzioni, lo spirito che la contingenza richiede è stato espresso dalle parole rivolte dal Presidente della Repubblica agli italiani sin dall'inizio della crisi, il 5 marzo 2020: "Il momento che attraversiamo richiede coinvolgimento, condivisione, concordia, unità di intenti": nelle Istituzioni, nella politica, nella vita quotidiana della società, nei mezzi di informazione. I momenti di emergenza richiedono un sovrappiù di responsabilità ad ogni autorità e in particolare agli operatori dell'informazione, che svolgono un ruolo decisivo per la vita sociale e democratica.