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di Carlo Verdelli


Corriere della Sera, 16 febbraio 2021

 

Alla prima uscita da presidente del consiglio incaricato, il professor Mario Draghi ha preso le redini del Paese, affidandosi alla sola forza muta del suo prestigio. Dal massimo possibile al minimo indispensabile. Dalla promessa che l'ha reso celebre, "whatever it takes" (tutto ciò che serve), formula salvifica per la sopravvivenza dell'euro, alla lista dei ministri declinata venerdì scorso al Quirinale senza un preambolo né una chiusa né un cenno di ringraziamento a chi l'aveva preceduto, Giuseppe Conte. Alla prima uscita da presidente del Consiglio incaricato, il professor Mario Draghi ha preso le redini dell'Italia affidandosi alla sola forza muta del suo prestigio.

E che quel tipo di debutto non fosse casuale l'avrebbe ripetuto, riferiscono le cronache, alla prima riunione dei suoi ministri, mettendoli sull'avviso: noi comunichiamo quello che facciamo e, non avendo ancora fatto niente, niente comunichiamo. Per i molti abituati a riempire il vuoto di azione politica con un pieno di parole e proclami, il segno più drastico di un cambiamento che mal tollererà eccezioni.

Lo stile Draghi è asciutto come l'uomo. Nei suoi precedenti incarichi, dalla Banca d'Italia alla Banca centrale europea passando per la Banca Mondiale, quello stile ha funzionato, e ancora funziona. Mario, il nome italiano una volta più comune e quindi anche più anonimo, accompagnato al suo cognome diventa subito un marchio internazionale ad alta affidabilità. È bastata la comparsa del suo augusto profilo perché lo spread si acquattasse sotto quota 90, la Borsa aprisse le porte alla speranza e le Cancellerie tutte (quasi tutte) facessero a gara per garantire plauso e sostegno. Persino il neo presidente americano, Joe Biden, finora parco di contatti con i nostri vertici istituzionali, ha teso la sua lunga e grande mano: "Non vedo l'ora di lavorare a stretto contatto con lei".

Con credenziali simili, l'opera di rilanciare l'Italia, per quanto squassata, sembra un problema non insormontabile. Ma ci sono alcune variabili che sicuramente non sfuggono alla consumata saggezza del premier Draghi, il più alto profilo di un governo d'alto profilo come quello voluto dal presidente Mattarella, rimedio estremo a una crisi dai contorni ancora non chiarissimi, consumata e precipitata lontana dal Paese abitato dalla gente comune. Parte di queste variabili sono il frutto diretto e prevedibile della frantumazione della maggioranza del Conte bis e della conseguente ricomposizione rapida di un mosaico dove parecchi tasselli sembrano incastrarsi a fatica: Lega e Pd, per esempio, ma anche Forza Italia e 5Stelle, o quel che resterà del Movimento dopo la diaspora in corso. La difficile coabitazione di forze per natura agli antipodi verrà messa alla prova non appena si uscirà dall'indefinito "tutti insieme per superare l'emergenza" e toccherà confrontarsi su temi fortemente divisivi, a cominciare dalla gestione della pandemia per finire, prima o poi, a questioni soltanto in apparenza sullo sfondo come l'immigrazione o i diritti civili. La speranza è che il caos intorno alla riapertura delle piste da sci, annunciata e poi ritirata a poche ore dalle prime discese, con il contorno di divieti infranti e trasgressioni manifeste, sia la coda della confusione da vecchia gestione e non il preludio di incidenti di percorso all'avvio della nuova, casuali ma non troppo.

Stretti come siamo tra l'opportunità storica di non sprecare l'ossigeno vitale dei fondi europei del Recovery e l'ansia di ritrovarci mortificati dall'incapacità di contenere le ondate di varianti del Coronavirus, in ritardo sulle vaccinazioni e in confusione sulla girandola delle colorazioni regionali, la missione del Draghi Uno è l'ultima possibilità realistica che resta a questo Paese prima che sia davvero, e definitivamente, troppo tardi. Il nascente governo che tra mercoledì e giovedì si presenterà nei due rami del Parlamento otterrà una fiducia scontata e potrà mettersi ufficialmente al lavoro sull'agenda delle priorità che sono state fatte filtrare ma che sono poi quelle che chiunque indicherebbe su una lista ragionevole: lotta al virus, lavoro, economia, scuola, ambiente, fisco. La somma degli addendi, ciascuno dei quali contiene una serie infinita di complessità, dovrebbe dare come risultato una speranza tangibile: mettere l'Italia nella condizione di avere un futuro.

Nei suoi discorsi a Camera e Senato, sicuramente Mario Draghi illustrerà come intende procedere, e con che tempi, e con quali modi. Lecito aspettarsi interventi di spessore, come l'articolo a sua firma pubblicato sul Financial Times il 26 marzo 2020 (centrato sull'aumento del debito pubblico "produttivo") o il discorso che ha tenuto al meeting di Rimini dello scorso 18 agosto (contro i populismi e per una gestione europea della tragedia biblica della pandemia, pensando soprattutto ai giovani e al dovere di fornire loro tutti gli strumenti per vivere in società migliori delle nostre). Chiederà unità, il professor Draghi, non come un'opzione ma come un dovere per il momento che stiamo attraversando, per le sfide che ci attendono.

Ma il colloquio più importante che lo aspetta è quello con gli italiani, la spinta più decisiva che deve ricevere è la loro. Un'apertura di credito che vada al di là delle appartenenze partitiche, una comprensione anche emotiva che in gioco, da qui ai prossimi mesi, c'è un pezzo, se non tutto, del destino della loro nazione, e quindi delle generazioni che verranno; e che la forbice delle diseguaglianze può e deve essere contenuta attraverso un gigantesco sforzo collettivo di responsabilità, a partire dal rispetto delle regole per non permettere al virus di allargarla, quella forbice. Il rischio da scongiurare è un Paese tagliato in due, con la sua parte più debole destinata alla marginalità. Lo stile Draghi è improntato sulla sobrietà, che è indiscutibilmente un valore ma che è cosa diversa dall'aridità. Per provare a ricostruire davvero l'Italia, non basteranno un uomo per quanto capace, né un governo speriamo animato di buone intenzioni durevoli, né tutti i 209 miliardi del Recovery Fund. Serve il capitale sociale della fiducia. Serve il coinvolgimento degli italiani, la loro ragionevole passione.