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di Federica Farina


Left, 18 dicembre 2020

 

Il tasso di recidiva tra i detenuti è il triplo rispetto a quello di chi accede a misure alternative, spiega Luigi Manconi e aggiunge: "Questo è solo uno dei sintomi più evidenti del fallimento di un sistema che vuole garantire la sicurezza sociale attraverso la detenzione dietro le sbarre".

Luigi Manconi, intellettuale e politico, fondatore e presidente della Onlus "A buon diritto", è un interlocutore obbligato quando si parla di emergenza carceraria. Promotore di importanti battaglie di civiltà, è da sempre uno strenuo difensore dei diritti dei detenuti e in un momento in cui la pandemia da Covid-19 ne aggrava ulteriormente le condizioni un libro come il suo "Abolire il carcere" è quanto mai attuale e prezioso.

Firmato per Chiarelettere insieme a Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta, questo libro, davvero illuminato e dal carattere fortemente pratico, ci fa capire perché il carcere vada abolito: è un totale fallimento sotto tutti i profili e non si tratta di buonismo, sono i numeri a dirlo. Il carcere è "un lungo e minuzioso processo di spoliazione", fortemente lesivo di ogni diritto e della dignità delle persone, e in più è fallimentare anche sotto il profilo più pratico perché aumenta il tasso generale di criminalità. Il carcere annienta l'essere umano e non protegge i cittadini, deve quindi perdere la sua centralità.

 

In questo momento "Abolire il carcere" si ripropone come un faro da seguire per sfatare il mito secondo cui ricorrere alla pena detentiva sia una cosa inevitabile. Questo libro potrebbe essere stato scritto oggi per la sua attualità ma in realtà è stato pubblicato nel 2015. Com'è stato accolto e che reazioni ci sono state nel tempo?

È stato accolto molto seriamente dalla comunità scientifica e dai giuristi perché ha un impianto di natura normativa. Il libro indaga la struttura del carcere dal punto di vista della sua ragion d'essere e degli effetti negativi che ha sull'amministrazione della giustizia e sull'esecuzione della pena. Per il resto è stato accolto come un manifesto utopico da respingere perché considerato come scarsamente correlato alla realtà. In verità è qualcosa di estremamente realistico, molto ragionevole e soprattutto concretamente realizzabile.

 

Il vostro lavoro è particolare perché è molto pratico, si percepisce la concretezza di quanto viene scritto. Voi autori ci avete spiegato, numeri alla mano, perché il carcere è fallimentare: non garantisce sicurezza, non serve al suo scopo...

È così, noi partiamo dalla constatazione che il carcere si è rivelato uno strumento totalmente inutile sia rispetto a quella che è la finalità indicata dalla Carta costituzionale. Partiamo da una dichiarazione di verità: il carcere è inutile e dannoso.

 

"Il carcere l'ha inventato qualcuno che non c'era mai stato". "Abolire il carcere" inizia con questa citazione da Riso amaro e in effetti chi invoca il carcere non sa quasi mai di cosa sta parlando e pensa che sia qualcosa che non lo riguarderà mai da vicino. Invece, lei dice, è una questione che ci riguarda tutti. Perché?

Sì, riguarda tutti perché l'interesse dovrebbe essere quello per cui chi sconta una pena, quando esce dal carcere e ritorna in mezzo alla collettività, dovrebbe essere meno pericoloso, ma quello che accade è esattamente il contrario. Il nostro sistema fa sì che la pena renda chi la sconta più pericoloso di quanto lo era prima e quindi si realizza un danno per la collettività. L'impostazione carcerocentrica che si fonda sulla cella chiusa si risolve in una forma di autolesionismo della società e abbiamo numerosi dati che lo confermano. Per chi sconta la pena in carcere c'è un tasso di recidiva spaventoso, parliamo del 70%, mentre per chi sconta la pena in forme diverse, come con la detenzione domiciliare o i lavori socialmente utili, la recidiva è del 20%. La conferma della necessità di abolire il carcere sta in queste cifre, e ogni anno che passa le recidive per chi ha scontato la pena in modo alternativo al carcere sono sempre più rare.

 

Il carcere quindi è un fallimento sotto tutti i profili: sociale, giuridico, finanziario, e invece di proteggere la collettività la danneggia. Cosa possiamo fare perché la gente apra gli occhi su questa realtà?

Questo è il capitolo più dolente perché il tema carcere continua a essere "rimosso" dalla coscienza collettiva. Nel libro uso questa immagine che è quella della rimozione nel senso di cancellare, allontanare da sé un problema che inquieta e turba. Non a caso le carceri sono costruite fuori dall'ambito cittadino affinché lo sguardo della gente non le incontri. Noi stiamo assistendo a una progressiva cancellazione del carcere dall'orizzonte e dallo sguardo del cittadino comune per cui è sempre più difficile sollecitare l'interesse verso queste tematiche e a questo collabora attivamente anche la politica.

 

Interessarsi al problema carcere è sconveniente per i politici?

Esattamente. Il carcere non è remunerativo per la politica, è il contrario: chi si interessa di carcere perde voti, chi si incattivisce contro i detenuti guadagna voti. La politica agisce in questo modo e non si fa nulla perché il carcere diventi una questione pubblica. Si vede anche oggi con il problema del Covid, i numeri dei contagi tra i detenuti sono stati forniti tardivamente e spesso non sono stati forniti affatto. Io ho segnalato una vicenda riguardante i contagiati di un carcere dove per giorni si sosteneva che non vi fosse nessun positivo, per poi scoprire che non era così e tra i positivi c'era anche un detenuto che era finito in terapia intensiva, ma per una settimana questi dati non sono stati forniti. C'è proprio un procedimento di cancellazione.

 

A questo proposito, da oltre un mese Rita Bernardini sta facendo lo sciopero della fame per chiedere l'indulto o l'amnistia ma non c'è risposta da parte delle istituzioni. Nel libro parlava dell'indulto del 2006, un provvedimento che all'epoca fu molto criticato. Il clima è lo stesso?

Il clima è lo stesso del 2006 se non peggio. Oggi di indulto non se ne può proprio parlare.

 

Nel libro ci dice che il carcere va abolito e per arrivarci ha stilato un decalogo di provvedimenti: depenalizzare i reati meno gravi, abolire l'ergastolo e ridurre le pene detentive, diversificare il sistema delle pene rendendo il carcere l'extrema ratio, concentrare il processo penale su fatti veramente meritevoli di sanzione, prevedere la custodia in carcere solo in caso di pericolosità dell'imputato, potenziare le alternative al carcere, garantire i diritti fondamentali dei detenuti, umanizzare il carcere, impedire che i minori vengano reclusi, garantire agli autori di reato affetti da disagio psichico delle misure finalizzate alla riabilitazione e alla cura. Riproporrebbe anche oggi questo stesso decalogo?

Certo, lo riproporrei perché il problema è più urgente che mai. L'abolizione del carcere è un progetto di lunga durata ma per avvicinarsi all'obiettivo c'è questo elenco preciso di provvedimenti concreti che sono subito realizzabili, si possono ottenere con una legge. Se non succede è per motivi politici perché è più remunerativo assecondare l'idea della pena come vendetta. Bisognerebbe cambiare la cultura per fare in modo che non sia più così.