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di Elena Livieri e Simonetta Zanetti


Il Mattino di Padova, 18 dicembre 2020

 

Donato Bilancia, il serial killer condannato a 13 ergastoli per diciassette omicidi e 16 anni per un tentato omicidio, è morto per Covid nel carcere Due Palazzi di Padova dove scontava la pena. I delitti attribuiti a Bilancia sono avvenuti tra il 1997 e il 1998, tra Liguria e Piemonte, le vittime venivano scelte con apparente casualità.

Dopo aver scontato i primi anni di prigionia al Marassi a Genova, Bilancia è stato trasferito a Padova. Il "mostro dei treni" o "killer delle prostitute" come veniva definito, fu arrestato nel 1998: a tradirlo l'auto usata per gli spostamenti. Era nato a Potenza nel 1951. Era positivo da un paio di settimane e chi lo conosce sostiene che abbia scelto di lasciarsi andare.

In carcere a Padova - Giusto un anno fa Bilancia aveva avuto un momento di notorietà, quando prese parte al concerto di Natale in carcere. Dopo mezzo secolo, come raccontò lui stesso, aveva ripreso in mano la chitarra. Dopo aver suonato diversi brani con altri componenti della band del Due Palazzi, eseguì in assolo Imagine di John Lennon.

In quell'occasione Bilancia aveva potuto raccontare qualcosa della sua esperienza in carcere: "Il primo periodo" ricordava, "è stato il più duro: dodici anni in isolamento. Non potevo uscire, non potevo vedere nessuno, ero solo in una stanza vuota tutto il giorno. Per passare il tempo facevo un po' di ginnastica".

Poi l'isolamento è terminato, e per Donato Bilancia è iniziato un nuovo percorso. Frequentava tutte le attività, che giudicava molto utili: "Possiamo incontrarci, parlare e fraternizzare tra noi" raccontava, "si instaurano delle relazioni. E questo anche con i volontari che vengono qui. Quando ho ricominciato a studiare la professoressa che mi seguiva ha preteso che durante la nostra lezione la porta della mia cella rimanesse aperta. Ci sono voluti tre anni, ma alla fine è stata lei a volerla chiudere. Queste attività ci aiutano a non morire dentro".

Bilancia in carcere si è anche diplomato in ragioneria e ha ottenuto la laurea in Progettazione e gestione del turismo culturale. Oltre a suonare la chitarra, frequentava anche il corso di teatro, come ricorda Ornella Favero, direttrice della rivista Ristretti Orizzonti, che di Bilancia dice: "Sembrava una persona disperata".

Il ricordo di don Pozza - "È proverbiale che l'erba cattiva non muoia mai. "Vècio, stai tranquillo e sereno: l'erba cattiva non muore mai. Ci rivedremo qui presto!" Invece, stavolta, è morta: ammesso che sia nata cattiva. Restano queste le mie ultime parole dette a Donato Bilancia, l'uomo che negli anni Novanta ha reso la cronaca nera italiana colore pece da quanto nera l'ha fatta diventare": inizia così l'intenso ricordo che ieri pomeriggio don Marco Pozza, sacerdote del carcere Due Palazzi, ha dedicato a Bilancia.

"L'ho conosciuto dieci anni fa, sepolto dentro una cella d'isolamento" ricorda don Pozza, "restio, inselvatichito, feroce nello sguardo. Le prime volte, in cella, mi impauriva, mi allontanava, mi respingeva. S'arrabbiava e urlava senza un apparente motivo. Un giorno, poi, mi chiese il perché della mia strana scelta di dargli del lei, di chiamarlo signor Donato, di non rivangargli quel passato omicida così ingombrante. "Tu mi vuoi far crepare, belìn" mi disse alla genovese". Lo stesso prete ricorda quando, da piccolo, si guardava le spalle in stazione e in treno, impaurito dalle cronache dei Tg che parlavano del "mostro dei treni"

"Non potevo immaginare che, un giorno, l'avrei (ri)trovato nel freddo della nostra galera di Padova. Da uomo conoscevo la bestia, da prete ho avuto la grazia di toccare l'angelo che si stava lentamente risvegliando. A colpi d'amore, di rimorsi, di vergogna. Di intercessioni".

Tante le persone, sottolinea don Pozza, che hanno "scommesso" su quell'uomo, per recuperare un frammento di umanità. Sforzo ripagato. "Il suo male fatto lo conoscono tutti, il suo bene fatto" rileva il prete, "resterà nel cuore di chi l'ha accompagnato. E rimarrà sepolto, come voleva che restasse, com'è rimasto lui nel cuore dell'Italia (quasi) intera". La memoria delle vittime, di una in particolare, ha tenuto in ostaggio ben più del ferro e del cemento Donato Bilancia in questi anni: "Andrò all'inferno" diceva a don Pozza, "ma prego Dio che mi dia un istante di tempo per passare da loro a chiedere scusa".

Sulla sua strada - L'immagine che restituisce chi lo ha incontrato in carcere è profondamente dissonante rispetto all'efferato serial killer che ha seminato morte e disperazione: "Da tre anni si era unito al laboratorio teatro carcere" racconta Maria Cinzia Zanellato "Donato era un paradosso vivente. All'inizio era stato molto difficile entrare in contatto con lui, un uomo freddo sul piano emozionale. Gli avevo spiegato che il teatro per noi non è esibizione ma consapevolezza.

Con il tempo aveva cominciato a relazionarsi con gli altri e nel gruppo aveva trovato un'altra parte di sé, aveva trovato il modo di esprimere la sua umanità. Oggi era un anziano con una portata di vita dal peso enorme che cercava di affrancarsi dai delitti terribili che aveva commesso, teneva una corrispondenza con un monaco, alla ricerca di pace. Avevamo fatto un percorso con il Festival Biblico, ma non riusciva a sostenere il peso del suo vissuto e quando sul palco cantava "la vie en rose", crollava, letteralmente sopraffatto".

Nel mondo del volontariato del Due Palazzi, ieri si rincorrevano i messaggi: "Un anno fa aveva chiesto di poter uscire poche ore per andare a trovare un ragazzo disabile che sosteneva economicamente" ricorda Nicola Boscoletto della Cooperativa Giotto "ma gli era stato negato.

Credo che da allora avesse mollato la presa. So che la sua era una figura ingombrante, e credo che si siano preoccupati di cosa avrebbe detto la gente di fronte a un permesso, ma voleva fare finalmente del bene. Ci striamo organizzando per accompagnarlo, se non ha nessuno che provvederà a lui vorremmo farci carico noi delle sue esequie".