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di Errico Novi


Il Dubbio, 1 dicembre 2020

 

Estendere i benefici ai detenuti, al di là dell'emergenza: dossier riaperto con Bonafede. Verini: "Importante come le riforme del processo e del Csm". La novità è che i dossier giustizia ora sono quattro. "E hanno tutti la stessa importanza", spiega al Dubbio Walter Verini. "La riforma del processo penale, quella sul civile, il ddl sul Csm e la riapertura del progetto Orlando sul carcere".

Da alcuni mesi tesoriere del Pd, Verini è nel suo partito una figura chiave anche sulla giustizia. Negli ultimi due anni ha seguito, insieme con il sottosegretario Andrea Giorgis, gran parte delle discussioni aperte col guardasigilli Alfonso Bonafede. Non era scontato che in una legislatura prossima al giro di boia potesse riaprirsi il confronto sull'ordinamento penitenziario.

E invece il partito di Nicola Zingaretti è intenzionato a non assecondare la posizione del ministro della Giustizia. Gli ha già chiarito che non bastano le due direttrici individuate da via Arenula, cioè l'edilizia penitenziaria, che sarà finanziata dal Recovery, e il rafforzamento delle opportunità di lavoro per i detenuti, prevalentemente inframurarie con poche concessioni all'attività esterna, più che altro in campo minorile.

Il Pd non la pensa così. In materia di carcere ha idee esposte in gran parte proprio da Verini nell'intervista di ieri a Repubblica. Il deputato della commissione Giustizia ha anche chiarito la linea dem sulla questione più urgente: il sovraffollamento in tempo di covid: "Non siamo a febbraio quando c'erano oltre 62mila detenuti, oggi sono 9mila di meno. Grazie a misure del governo che il Pd vuole migliorare, come fa in Senato con gli emendamenti al decreto Ristori".

Cioè "domiciliari senza braccialetto a chi deve scontare solo 12 mesi e ha tenuto una buona condotta (oggi la misura è prevista solo fino alla soglia dei 6 mesi di pena, anche residua, ndr)" e aumento della riduzione "di 30 giorni rispetto ai 45 attuali ogni sei mesi a chi ha seguito percorsi rieducativi". Si tratta di modifiche all'impianto deflattivo, veramente molto blando, previsto nel decreto Ristori bis. Se ne discuterà a Palazzo Madama sabato e domenica prossimi, quando si concentrerà l'esame degli emendamenti nelle commissioni congiunte Bilancio e Finanze. Non si parlerà solo di sostegni economici alle imprese colpite dalle restrizioni (e non ai professionisti, per ora) ma appunto anche di giustizia. Carceri comprese.

Il Pd prova a ottenere dall'alleato 5 stelle un passo più deciso sulla decongestione dei penitenziari. Obiettivo immediato, che le opposizioni vorrebbero veder realizzato in modo anche più ambizioso. Anche se sul fronte del centrodestra è solo Forza Italia ad aver depositato emendamenti per ampliare gli effetti delle norme già inserite nel Ristori bis: anziché prevedere uno sbarramento rigido per evitare i braccialetti, araba fenice del sistema carcerario, gli azzurri propongono che sia il giudice di sorveglianza a valutare caso per caso se il detenuto può andare ai domiciliari comunque o se il suo profilo impone il ricorso al dispositivo elettronico. Quasi certamente passerà la proposta del Pd, condizionata dalla buona condotta formalmente riconosciuta al carcerato.

Ma il respiro di questi correttivi è limitato all'emergenza Covid. La convinzione manifestata dai democratici a Bonafede è che in prospettiva si debba uscire dalla visione carcerocentrica. Battaglia non facile. Anche perché troverà sponde, dalle parti del centrodestra, solo tra i berlusconiani. Lega e Fratelli d'Italia non vogliono sentir parlare di maggiori benefici per la popolazione carceraria. Ma ci sono alcuni nodi da tenere presenti.

Primo: la riforma del carcere è una partita che proprio il Pd aveva aperto e poi sospeso, dopo che Andrea Orlando a inizio 2018, da ministro della Giustizia, decise con l'allora premier Paolo Gentiloni di non affondare il colpo e di tenere in freezer il decreto legislativo chiave del suo progetto. Si tratta delle misure che avrebbero superato le rigidità e, almeno in parte, le preclusioni ostative nella concessione dei benefici ai detenuti. Dai permessi al lavoro esterno. Il cuore della riforma Orlando, archiviato da Bonafede. In realtà proprio il Pd ci rinunciò, all'epoca.

Adesso sembra cambiato il vento. Sicuramente per l'incubo dei contagi in carcere, che ha finalmente portato in primo piano il dramma del sovraffollamento. Sono finalmente venuti allo scoperto opinion leader popolari anche fra la sinistra meno garantista, primo fra tutti Roberto Saviano. Il suo articolo su Repubblica di sabato scorso ha annunciato 48 ore di sciopero della fame a sostegno dell'iniziativa nonviolenta di Rita Bernardini, che la porta avanti da quasi un mese. Con Saviano, hanno aderito alla lotta della leader radicale Luigi Manconi e Sandro Veronesi. Chiedono misure deflattive immediate per scongiurare la catastrofe del covid negli istituti di pena. Il Pd non si muove sulla sollecitazione dello scrittore di Gomorra, ovviamente. Ma un'iniziativa come quella annunciata con l'articolo di sabato può favorire un contesto favorevole, come finora non era avvenuto, a una svolta sull'esecuzione penale.