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di Susanna Turco


L'Espresso, 1 dicembre 2020

 

Violenze di gruppo, stupri nei festini, revenge porn. In maniera tutto sommato sorprendente viste le circostanze eccezionali della pandemia, del coprifuoco, dei mezzi lockdown, in questi giorni nelle pagine della cronaca sono comparse notizie apparentemente slegate fra loro, e che però raccontano un genere, una tendenza, un clima un mondo di violenza nel quale siamo quotidianamente immersi, dai connotati abbastanza precisi, evidentemente anche a dispetto della pandemia.

Notizie mescolate a casi non penalmente rilevanti - come la polemica sul video-tutorial per essere sexy al supermercato poi non trasmesso da Raidue, o quella sull'intervista non ritrasmessa di Franca Leosini a Luca Varani - tre notizie legate a reati, o presunti reati, compiuti da maschi su femmine, uomini tutti abbastanza giovani (dai 43 ai 20 anni) donne giovanissime, ragazze (18-20 anni in due casi su tre).

Tutte vicende che raccontano un mondo, diverso anche da quello che raccontiamo nelle giornate di celebrazione. La prima, in ordine cronologico, riguarda la violenza di gruppo per la quale la Procura di Tempio Pausania si prepara a chiedere il rinvio a giudizio per il figlio di Beppe Grillo, Ciro Grillo, e i suoi tre amici (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria): risale al 16 luglio 2019, ma le indagini sono state chiuse solo in questi giorni, dopo un tempo che è stato di un terzo più lungo rispetto alla media certificata delle statistiche del ministero della Giustizia (di solito tra il fatto e l'eventuale rinvio a giudizio passsano 400 giorni, in questo caso siamo già a 493 e ancora non è stata fissata l'udienza nella quale il Gup deciderà sul futuro del procedimento). Una vicenda nella quale - con modalità che ad alcuni hanno ricordato il caso Montesi del lontano 1953 - l'intreccio tra accadimenti politici e presunti reati sessuali è inestricabile, come testimonia non solo la tempistica ma anche l'assoluto silenzio che ha circondato la vicenda, un tacere generale di tutti nel quale il dibattito italiano di solito così irriguardoso ha toccato il suo vertice di garantismo, ad essere ottimisti.

C'è da dire, sempre per stare nel clima in cui stiamo immersi, che un anno fa, prima che la coltre di silenzio avvolgesse tutto, le primissime notizie relative al caso Grillo parlavano (in automatico?) di "modelle", mentre si trattava di studentesse dell'alta borghesia milanese, e si soffermavano a sottolineare i dieci giorni trascorsi tra la presunta violenza e la sua denuncia da parte di una delle due ragazze: come se poi l'urgenza di andare dai carabinieri fosse un metro di valutazione per la veridicità dei fatti, o comunque una priorità, per una vittima.

Questioni in teoria secondarie hanno ammantato il secondo episodio che ha dominato le cronache di questi giorni, anche in questo caso una violenza di classe che non riguarda certo contesti poveri, degradati, o ai margini della società: quello di Alberto Genovese, startupper milionario ora in carcere per violenza sessuale su una diciottenne, durante uno dei festini a base di droghe che teneva da anni nel suo appartamento di Milano, soprannominato per le occasioni "Terrazza Sentimento", versione appena più upper class delle feste analoghe a Bologna, che coinvolgevano professionisti vari in quella che era stata ribattezzata "Villa Inferno" (un caso per il quale, a differenza di quello milanese, la procura non contesta violenze, ma procede per spaccio e induzione e diffusione di materiale pornografico).

Bene, anche nel caso di Genovese, sono saltati in primo piano nelle cronache elementi per lo meno decisamente secondari, rispetto a una violenza considerata efferata persino dagli inquirenti, su una persona anche qui semi-incosciente. Si è invece insistito, in vari articoli, sulle grandi capacità imprenditoriali dell'autore del reato: "Un vulcano di idee, che per il momento è stato spento", ha scritto il Sole 24 Ore, che si è poi scusato.

L'apoteosi è stata raggiunta però dal fondo su Libero di Vittorio Feltri, del quale è sufficiente citare il titolo: "La ragazza stuprata da Genovese è stata ingenua"; l'occhiello: "I cocainomani vanno evitati"; e la conclusione: a Genovese "auguriamo almeno di disintossicarsi in carcere. Alla sua vittima concediamo le attenuanti generiche. Ai suoi genitori tiriamo le orecchie". Una inedita versione del "se l'è cercata": le attenuanti alla vittima, da eventualmente concedere.

L'ostinazione di vedere, in chi subisce una azione violenta, una qualche forma invece di azione, riluce anche nel terzo caso, quello della maestra che a Torino ha perso il posto dopo che il suo ex ha condiviso con il gruppo del calcetto immagini e video hard che gli aveva mandato lei: in questo caso il reato di lui, che si chiama revenge porn - in un anno la "diffusione illecita di video" si è verificata 781 volte, due al giorno, secondo i dati raccolti dalla direzione centrale della polizia criminale, e ha causato l'apertura di oltre mille indagini secondo il report del ministero della Giustizia - un reato che ha prodotto un effetto immediato sulla realtà di lei, la maestra incensurata, ma adesso anche senza lavoro. Cosa hanno in comune questi tre casi?

"Sono indicatori di un sentire che è tutto sbagliato, di un dibattito pubblico che in Italia è primitivo, di livello inferiore a uno standard di civiltà accettabile", dice Pina Picierno, europarlamentare dem che da quando è a Bruxelles si è specializzata nei temi che riguardano i diritti individuali e la parità di genere. Il suo punto di vista è particolarmente interessante perché guarda il nostro Paese anche da fuori. Picierno è in grado di raccontare ad esempio con quale differenza sia stato accolta la petizione HalfOfit, in Italia "giustomezzo", che chiede che metà dei finanziamenti del Recovery Fund sia destinata a misure che abbiano effetti concreti sulla vita delle donne: "In altri Paesi europei questa proposta è stata accettata in modo pacifico, in Italia sono stata ricoperta di insulti incredibili. Mi si accusava: vuoi che i soldi del Recovery fund siano utilizzati per estetiste, uncinetto e parrucchieri!".

Il tema, racconta Picierno - così come altre elette alla Camera e al Senato - è che arrivati al 2020 da un punto di vista legislativo non siamo più a zero. La politica ha in parte recuperato il gap che la caratterizzava fino a una decina di anni fa. In questi anni leggi sono state fatte. Non si può neanche più dire che siamo a zero, dallo stalking alla legge sull'omofobia, passando per il reato di diffusione illegale di immagini hard, contenuto nel cosiddetto codice rosso. Anche se ovviamente molto resta da fare. A questo punto, dice Picierno, "poiché, come è nello spirito della Convenzione di Istanbul, la piena uguaglianza è la chiave per prevenire la violenza, bisogna agire pezzo a pezzo: ad esempio adesso concentrarsi per conquistare la sulla parità salariale, che in Europa ha tutt'ora un dislivello del 16 per cento tra uomini e donne".

A fianco della legislazione c'è tuttavia un drammatico ritardo culturale, nella parola pubblica, e anche nella rappresentanza. "Se è cambiato tutto questo in dieci anni? direi di no, molto poco", sospira Picierno. Lo stesso Pd, del resto, è un partito dove la rappresentanza femminile stenta a raggiungere i livelli di vertice, come dimostra l'eccezione di Valentina Cuppi, presidente dem di nomina zingarettiana.

Un paradosso, questo del maschilismo nei vertici, che si riproduce in modo capovolto nella destra. Là le donne ci sono, e invece manca l'attenzione che c'è a sinistra alle lotte per l'uguaglianza, ridotte quasi soltanto alla tradizionale difesa della famiglia. Un caso quasi unico, ma appunto singolo, è quello rappresentato dall'avvocato Giulia Bongiorno, senatrice della Lega, ma anche impegnata da oltre un decennio (con l'associazione Doppia Difesa) nella causa delle vittime di violenze, nonché in ultimo legale della ragazza che ha denunciato Grillo jr.

"Un paradosso vero", dice Flavia Perina, ex parlamentare e direttrice del Secolo d'Italia: "A destra abbiamo l'unica capa partito, Giorgia Meloni, l'unica governatrice è leghista, Donatella Tesei, in Forza Italia sono donne le due capogruppo e una come Mara Carfagna è in prima linea sui temi dell'uguaglianza. Nel giornalismo di destra, al contrario, siamo a un livello estremamente arretrato".

E, aggiunge, la costruzione culturale "la fanno molto i giornali, dove gli opinion leader sono in genere maschi anziani. Più che le leggi, mancano - dice - atti esemplari, promozione di una cultura diversa anche da parte delle istituzioni che stanno a contatto coi cittadini, come le forze di sicurezza, i tribunali". Basterebbe ad esempio, continua, il caso Manduca, di cui è prevista la prossima udienza il 9 dicembre, per il processo di appello di un caso che la Cassazione ha riaperto sei mesi fa: tecnicamente qui è lo Stato, attraverso la sua Avvocatura, a ostinarsi a voler recuperare dagli zii dei tre orfani per femminicidio, i 259 mila euro riconosciuti in primo grado come risarcimento. All'inizio (eravamo ancora nella scorsa legislatura) si disse che la procedura si era avviata in automatico: adesso c'è Conte che assicura un intervento imminente, tre governi dopo, e sin qui nessuno l'ha fermata.