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Il Foglio Quotidiano, 1 dicembre 2020


Ahmad Djalali è stato condannato a morte in Iran nell'ottobre del 2017 per aver "seminato corruzione sulla terra", c'è scritto nella sentenza: l'accusa era di spionaggio a favore di Israele. Il 24 novembre scorso, Amnesty International ha fatto sapere: "Siamo orripilati dalla notizia che le autorità iraniane hanno dato ordine di trasferire Ahmadreza Djalali in isolamento e di eseguire la condanna a morte non oltre una settimana da oggi". La fonte della notizia è la moglie di Jalali.

Jalali, 49 anni, è uno scienziato che si occupa di medicina delle catastrofi. è iraniano naturalizzato svedese, ha svolto le sue ricerche in Svezia, in Belgio e anche al Crimedim di Novara, ha pubblicato molte analisi sui livelli di preparazione delle strutture ospedaliere europee in caso di catastrofi. È stato arrestato nel 2016 mentre partecipava a un seminario all'Università di Teheran (che lo aveva invitato), dopo due settimane di detenzione senza poter dare notizie è stato accusato di spionaggio per conto di Israele, costretto - con torture e minacce - a confessare in filmati che sono stati trasmessi in tv e infine condannato a morte.

Lui ha detto di essere stato punito perché si era rifiutato di fare la spia per conto dell'Iran in Europa. Le sue condizioni di salute sono peggiorate durante la detenzione a Evin ed è dal 2018 che le Nazioni unite, il Parlamento europeo, gli istituti scientifici per cui Djalali ha lavorato, molte associazioni per i diritti umani e anche 121 premi Nobel si battono perché venga prima curato e poi liberato. Molte organizzazioni, non da oggi, consigliano a scienziati e ricercatori di non andare in Iran perché potrebbero essere catturati e utilizzati negli scambi di prigionieri.

È accaduto qualche giorno fa: Kylie Moore-Gilbert, ricercatrice anglo-australiana di 33 anni, è stata liberata in cambio di tre cittadini iraniani detenuti in Thailandia: erano accusati di aver partecipato a un tentato attacco contro obiettivi israeliani a Bangkok. Nelle ultime ore, gli appelli e le richieste a Teheran sono aumentati: molti temono che il regime iraniano voglia utilizzare l'esecuzione di Djalali come la vendetta per l'uccisione dello scienziato-padre della bomba atomica iraniana, Mohsen Fakhrizadeh.