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di Paolo Mieli

 

Corriere della Sera, 30 luglio 2020

 

Sul rifinanziamento della guardia costiera, Il Pd dovrebbe ricordarsi i proclami per l'accoglimento senza condizioni lanciati quando c'era il governo Conte 1. Per una triste coincidenza quando gli agenti del mare tripolini hanno ucciso tre migranti sudanesi che provavano a fuggire su un gommone, proprio in quelle ore a Roma si teneva un raduno di protesta contro il rifinanziamento italiano di quella stessa guardia costiera libica.

La scrittrice Michela Murgia (su "La Stampa") ha notato che stavolta i manifestanti erano circa 250. Pochi. Molto pochi se si pensa che un anno e mezzo fa ad un analogo appuntamento si erano presentati in cinquemila. Di qui uno "sconcertante sospetto": non sarà, si è chiesta l'autrice di "Accabadora", che "per molti chiedere salvezza e dignità per i migranti è stato un fatto di antagonismo politico, non di diritto umanitario" talché "sparito l'antagonista (Salvini), è sparita anche l'indignazione"? Una domanda carica di evidenti sottintesi.

Mettiamo subito in chiaro che, a differenza di Michela Murgia, continuiamo a ritenere che il piano elaborato nell'estate 2017 dal Ministro dell'Interno Marco Minniti - imperniato sulla sperimentazione di canali legali per i fuggitivi, sul controllo Onu dei campi di contenzione nordafricani, sulla valorizzazione delle municipalità libiche come argine alla tratta dei migranti - non fosse affatto "di impianto salviniano". In ogni caso l'anno seguente, i suoi compagni di partito, per poter più agevolmente combattere Matteo Salvini, hanno in buona sostanza sconfessato le proposte di quel Minniti che era stato il loro Ministro dell'Interno.

E così gli esponenti del Partito democratico si sono abbandonati a dichiarazioni assai impegnative, mai immaginando un possibile ritorno alla guida del Paese. Invece nell'estate successiva tutto si è capovolto, talché adesso il Pd si trova nelle condizioni di dover far convivere il realismo manifestato ai tempi del governo Gentiloni con i proclami per l'accoglimento senza condizioni lanciati quando a Palazzo Chigi c'era Conte versione uno. Di qui i borbottii che hanno accompagnato l'approvazione dei nuovi fondi ai guardacoste libici.

Passi falsi? Il Pd non avrebbe dovuto reagire con un'alzata di spalle a fronte dell'incresciosa circostanza per cui questo via libera è passato grazie al voto determinante della destra. C'è in questa fase politica - osserviamolo per inciso - un'assenza di rigore nella disponibilità ad accogliere voti dall'altra sponda. Quando si tratta di trattative sottobanco per commissioni, nomine e posti in Rai, si può fingere di non farci caso. Ma allorché entrano in gioco valori, è difficile non prestare attenzione a qualche eccesso di disinvoltura.

C'è dell'altro. Riccardo Magi, sodale di Emma Bonino, ha ricordato che un anno fa - ai tempi del Conte uno - il Pd non partecipò al voto sulla proroga della missione sostenendo che, prima di pronunciare il proprio sì, "la strategia andava cambiata" e i "centri di detenzione svuotati". Dopodiché la "strategia" è rimasta la stessa, i centri sono sempre più stipati ma il Pd ha approvato il rifinanziamento. Magi ha maliziosamente ricordato a Graziano Delrio, che dodici mesi fa - quando il Pd si asteneva - loro due erano assieme sulla Sea-Watch per chiedere di far scendere "i naufraghi in fuga dall'inferno libico". Poi qualcosa è cambiato. Dopo che il suo partito è andato al governo, Delrio non ha ritenuto di imbarcarsi nuovamente su una di quelle navi e ha anzi guidato i deputati Pd al voto per donare una decina di milioni di euro alla Guardia costiera libica. Nel nome, sostiene Delrio, dell'impegno "per una rapida modifica del memorandum con la Libia". Magi, Matteo Orfini, Nicola Fratoianni, tutti quelli che erano sull'imbarcazione umanitaria sono rimasti dell'opinione di allora. Delrio, no.

Infine c'è un problema più generale. Quattro mesi prima dell'esplosione pandemica il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti aveva annunciato che non si sarebbe dato pace finché il Parlamento non avesse approvato lo "ius culturae" (o come adesso si chiama il diritto di cittadinanza per gli immigrati). Idem per la radicale modifica dei cosiddetti decreti Salvini.

Poi, in febbraio, l'Assemblea nazionale del Pd ha votato all'unanimità contro il rifinanziamento della Guardia costiera libica. Ripeto: all'unanimità. Invece nel giorno della verità i parlamentari del partito di Zingaretti - con le eccezioni di cui si è detto - si sono pronunciati a favore dei soldi ai guardiani della costa libica. Giustamente Roberto Saviano si è domandato (su "Repubblica") che valore avesse il voto di febbraio. L'Assemblea nazionale - si è chiesto - non conta nulla?

Di rimando lo scrittore è stato sommerso da una marea di chiacchiere sulle benefiche iniziative che il Partito democratico ha preso o intende prendere per la "stabilizzazione" della Libia e il coinvolgimento di Sarraj nella "lotta ai trafficanti di esseri umani". Noi, a differenza dell'autore di "Gomorra" che le ha sbeffeggiate, vogliamo credere nella sincerità di queste intenzioni. Ma onestà intellettuale impone di dare atto a Saviano che la sua domanda non ha ricevuto risposta.

Ci sarà pure un caso di principio su cui la sinistra italiana tutta (o almeno la sua maggioranza) è disposta a tener duro. I Cinque Stelle questi valori - per quanto li si possa giudicare sballati - mostrano di averli. Poi alla fine, talvolta, i pentastellati cedono. Ma almeno combattono per quello in cui credono e per cui avevano preso impegni al cospetto dei loro elettori. La sinistra, a quel che è dato vedere, meno. Molto meno.