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di Giuseppe Salvaggiulo


La Stampa, 24 luglio 2020

 

Mentre il caso Palamara deflagra in un maxi-processo disciplinare mai visto nella storia della magistratura, s'infiamma lo scontro sul sistema elettorale dello stesso Csm. La pietra filosofale che dovrebbe garantire la rigenerazione morale del terzo potere dello Stato.

Scontro che attraversa politica e magistratura. Non c'è accordo nella maggioranza. Non c'è accordo tra le correnti. E nemmeno all'interno delle correnti. I sistemi elettorali per il Csm sono persino più esoterici di quelli per il Parlamento. Ma mai si erano raggiunte le vette di quello che il ministro della Giustizia Bonafede ha presentato l'altra sera ai delegati di M5S, Pd, LeU e Italia Viva al vertice di maggioranza convocato dopo due mesi di stallo (a fine maggio Bonafede aveva annunciato in pochi giorni il varo della riforma, poi era calato il silenzio).

La proposta prevede che i venti membri togati del Csm siano eletti in collegi territoriali, corrispondenti grosso modo ai distretti di Corte d'Appello. E qui viene il difficile. Ogni elettore può esprimere quattro preferenze, che nel computo hanno un peso diverso e decrescente: la prima vale 1, la seconda 0,9, la terza 0,8, la quarta 0,7.

Al primo turno viene eletto chi prende il 65% dei voti (praticamente impossibile) e al ballottaggio accedono non due, ma quattro candidati. Guarda caso numero pari a quello delle correnti. Al ballottaggio si può esprimere un doppio voto, sempre con il meccanismo della ponderazione decrescente noto nella letteratura costituzionalistica come sistema all'australiana (per dire l'esotismo, oltre all'esoterismo).

Il vertice dell'altra sera - una decina i convenuti tra capigruppo e sottosegretari - si è protratto per quattro ore, non senza tensioni. Alla fine, l'accordo è sul metodo, non sul merito. E quindi: il testo andrà in Consiglio dei ministri la prossima settimana, perché non si può più aspettare. Ma poi approderà in Parlamento senza un accordo di maggioranza blindato. Trattandosi di una legge delega, la strada è lunga e ci sarà tempo per fare e disfare accordi, a questo punto anche trasversali con l'opposizione.

Parola d'ordine "permeabilità del testo alla forza degli argomenti" sia dei gruppi parlamentari che di magistrati e avvocati, come spiega Andrea Giorgis, sottosegretario del Pd. I punti di convergenza non mancano: dalle regole meno discrezionali per l'attribuzione degli incarichi direttivi all'organizzazione delle Procure. Su alcuni temi come gli incarichi nel Csm (concorsi riservati ai magistrati o aperti agli avvocati?) ci sono sfumature diverse.

Sul sistema elettorale del Csm il dissenso è più profondo. Il Pd LeU e Italia Viva vogliono modificare il maggioritario di Bonafede perché, dice Giorgis, "rischia di mortificare eccessivamente il pluralismo e di non offrire una garanzia adeguata alla rappresentanza di genere". Il timore è un Csm monocolore o bipartitico e di soli uomini. Ma anche tra le toghe il maggioritario di Bonafede fa discutere.

Una parte della corrente progressista Area è solleticata dalla possibile egemonia, ma la parte legata alla tradizione di Magistratura Democratica rimpiange il proporzionale. Autonomia e Indipendenza, la corrente di Davigo, tergiversa. Una parte e pro maggioritario perché favorisce i candidati più autorevoli sul territorio, una parte pro proporzionale per timore di scomparire, una parte (Ardita, con Di Matteo) rilancia il sorteggio.

E Magistratura Indipendente, la corrente colpita dallo scandalo per via di Cosimo Ferri, è pro maggioritario secco ma teme di rimanere stritolata nel doppio turno da "accordi occulti" tra le altre tre correnti con "desistenza incrociate". Al punto di estrarre dal cilindro il sorteggio temperato. Insomma tutti contro tutti. Come la politica, se non di più.