sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Frank Cimini

 

Il Riformista, 23 luglio 2020

 

La regia dei boss dietro le proteste di marzo nelle carceri: è l'ipotesi di una maxi inchiesta della Dna. Lo rivela "Repubblica", ma del complotto nessun elemento, solo virgolettati di fonti anonime. La dietrologia è uno sport nazionale, una passione.

La direzione nazionale antimafia con a capo Federico Cafiero De Raho e "alcune procure distrettuali", scrive Repubblica a cui l'indiscrezione è filtrata, sta svolgendo una maxi inchiesta ipotizzando la regia delle mafie dietro le rivolte in carcere della prima decade del marzo scorso.

Quella stessa magistratura che si è rivelata incapace di spiegare le ragioni della morte di 15 detenuti durante le proteste cerca di cavarsela ipotizzando un grande complotto del quale l'articolo di Repubblica non fornisce elementi apprezzabili al di là di virgolettati attribuiti a fonti che restano anonime.

Il blocco fino al 31 maggio dei colloqui con i congiunti e la possibilità di interrompere permessi premio e il regime di semilibertà sarebbero stati secondo queste fonti solo il pretesto che in molti nelle carceri stavano aspettando per scatenare il caos.

"Non è un caso che le rivolte più violente siano avvenute negli istituti più sovraffollati dove sono richiusi anche mafiosi pugliesi e camorristi", scrive il quotidiano che ha scoperto l'acqua calda dal momento che era già emerso da tempo come alcuni camorristi avessero partecipato alle rivolte.

Ma partecipare a una rivolta non significa certo averla organizzata e nell'ambito di una tentacolare "spectre" l'invenzione della quale serve a nascondere le responsabilità della politica, dell'amministrazione penitenziaria e della stessa magistratura. Secondo la tesi della direzione antimafia i detenuti tossicodipendenti, quelli più fragili, sarebbero stati usati come carne da macello da chi voleva mettere lo stato nell'angolo.

Per cui le fonti anonime ripetono la cantilena di quella ufficiale. I 15 detenuti sarebbero morti in seguito all'assalto alle farmacie interne e alle conseguenze delle assunzioni di quanto asportato. Indagini accurate su quei decessi non ce ne sono state e chi avrebbe dovuto farle punta sul disinteresse generale per la sorte di poveri cristi.

In compenso sono spedite le inchieste sui presunti responsabili delle rivolte. A Milano saranno processati in 34 per devastazione. E non saranno gli unici a pagare. Perché paga chi è dentro ma anche chi sta fuori a dare solidarietà alle lotte dei detenuti. È il caso delle indagini su gruppi anarchici a Bologna e a Roma. Nel capoluogo emiliano il Riesame ha azzerato l'accusa di associazione sovversiva e scarcerato tutti.

Esito opposto a Roma ma in entrambi i casi le procure indicano i presidi e i sit-in sotto le prigioni come "prove" a carico. Era stata ipotizzata anche una regia anarchica. Adesso si punta sulla mafia quando storicamente la realtà è l'opposto. La mafia per svolgere i suoi traffici ha bisogno dentro le prigioni di pace e silenzio. Ma la dietrologia non conosce confini. In un paese in cui partiti e giornali da oltre 40 anni vi ricorrono per spiegare il delitto più importante del dopoguerra.