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di Giuseppe Guastella

 

Corriere della Sera, 23 luglio 2020

 

Gli audio dei pestaggi: "Mi son detto, l'abbiamo ucciso". Traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, pe-culato, abuso d'ufficio, falsità ideologica. Quegli stessi carabinieri che sapeva che avrebbe fatto arrestare, se li trovava di fronte tutti i giorni nel Palazzo di giustizia di Piacenza. Quando li incrociava, il Gip Luca Milani quasi si stupiva che "dietro i volti sempre cordiali e sorridenti di presunti servitori dello Stato" potevano "celarsi gli autori di reati gravissimi".

Per un attimo pensava di essersi immerso in un "romanzo noir", ma le indagini della Procura diretta da Grazia Pradella lo riportavano sempre alla realtà di "uno scenario estremamente preoccupante", scrive nell'ordinanza con cui ha disposto gli arresti. Era una "consuetudine", un meccanismo che girava da tre anni.

Una parte della droga e dei soldi che i carabinieri della "squadra" dell'appuntato Montella sequestravano agli spacciatori, invece di essere consegnata alla magistratura serviva a pagare i confidenti, spacciatori a loro volta. A far crollare il castello dell'illegalità sono, come spesso accade, un errore e la spregiudicatezza di chi si crede padrone: un confidente marocchino viene picchiato selvaggiamente in caserma davanti a due pusher per dargli una lezione. Quando gli investigatori lo chiamano, lui vuota il sacco.

A certificare la vicinanza eccessiva tra Montella e troppi pregiudicati c'è una fotografia postata su Facebook da Simone Giardino (arrestato con fratelli e altri parenti) che lo ritrae con Giacomo Falanga (carabiniere arrestato) e con un altro pregiudicato. Tutti sorridono con fasci di banconote nelle mani. "Un'immagine conta più di molte parole", chiosa il Gip.

I Giardino sono considerati i soci in affari di Montella nel traffico di droga, tanto che l'appuntato ha anche scortato Simone per fargli da "scudo" in caso di controlli delle forze di polizia mentre andava a rifornirsi di droga a Milano. Il 19 marzo la Gdf ferma il furgone del padre di Giardino all'uscita del casello di Caorso. Dentro ci sono 3,2 chili di marijuana. Montella, allertato dal trafficante, chiama un collega della Gdf che è nella pattuglia il quale lo avverte che il fermo potrebbe non essere casuale, ma frutto di indagini che coinvolgono lo stesso appuntato. Gli dice di non muoversi facendogli capire che può essere intercettato, come è: "Tieni il telefono fermo un attimo".

Montella, scrive il gip, è inserito in "una realtà collaudata nel commercio degli stupefacenti" in cui Daniele Giardino è in grado di acquistare carichi da "45 mila euro alla volta". Quando l'8 marzo scatta il divieto di movimento per la pandemia, l'appuntato rilascia "autocertificazioni con il timbro della stazione" per consentire che i Giardino "superassero indenni eventuali controlli" ed evitare che il traffico di droga potesse interrompersi. Un informatore aveva detto all'appuntato che c'era uno spacciatore che "piazzava" la droga a meno di quanto vendeva lui con i suoi complici, 5,50 euro al grammo invece di 7-8.

"Lo devo beccare...", commenta Montella. A spingere la mano della squadra di Montella e a consentire la proliferazione degli arresti illegali anche nella pandemia, contribuiscono "disinteresse e superficialità" del maresciallo che comanda la stazione, Marco Orlando (domiciliari) e del comandante della compagnia, il maggiore Stefano Bezzeccheri (obbligo di dimora), che ha "esclusiva attenzione al numero degli arresti". Montella e i suoi fermano un sospetto pusher, non gli trovano nulla e gli trattengono illegalmente il cellulare dopo averlo picchiato e perquisiscono la sua casa senza lasciarne traccia negli atti.

Il 27 marzo la "squadra" arresta uno spacciatore nigeriano. Il trojan capta l'immagine del sospettato ammanettato sul terreno, con accanto una pozza di sangue. I carabinieri commentano: "Quando ho visto la chiazza di sangue ho detto 'mo l'abbiamo ucciso".

"Non ti preoccupare" risponde Montella, "i denti non li teneva". La microspia registra in diretta il pestaggio di un egiziano che si giustifica: "Non ho niente, giuro". Viene colpito più volte: "Stai vedendo quanto tempo ci fai perdere?". Si sente il rumore sordo dei pugni mentre lo straniero invoca pietà, piange e ha singulti, forse indotti da una tecnica simile al waterboarding. È in questi passaggi che il gip individua il reato di tortura.

Nessuno dei militari sembra preoccuparsi. Le intercettazioni della Procura registrano il "favore" che l'appuntato fa al suo complice in affari Daniele Giardino. Si presenta "attrezzato" (con la pistola) da un concessionario di Treviso, picchia e minaccia i dipendenti ("uno si è pisciato addosso" per la paura). L'Audi A4 nuova viene ceduta a 10 mila euro.

"Hai presente Gomorra? Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato". A Pasqua una vicina chiama il 112 per segnalare un pericoloso assembramento in un giardino. Quando i colleghi della pattuglia si accorgono che è la villa dell'appuntato se ne vanno. Poi l'operatore cancella l'intervento e "gira" l'audio della chiamata a Montella: "Voglio sentire la voce per capire se è la mia vicina. Per togliermi lo sfizio".