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di Fabio Tonacci

 

La Repubblica, 23 luglio 2020

 

Tra la stazione Piacenza Levante di via Caccialupo 2, il luogo dove per almeno tre anni ogni diritto è stato sospeso per volere di uomini dello Stato, e il Comando provinciale dei Carabinieri da cui quella stazione dipende gerarchicamente, ci sono due chilometri e duecento metri.

In macchina la distanza si copre in cinque minuti. A piedi, in un quarto d'ora. Come è possibile, dunque, che nessuno nella catena di comando sapesse? Come è possibile che in questi anni non sia arrivata neanche una segnalazione delle scorribande, dei traffici e delle torture del gruppo dell'appuntato Giuseppe Montella, il capo ombra della stazione Levante?

E ancora: come è possibile che neanche un sopracciglio si sia alzato di fronte alla sfilza di moto e alle undici macchine di cui Montella è stato proprietario dal 2008 ad oggi (tra cui una Porsche Cayenne, tre Mercedes, quattro Bmw e un'Audi), pur con una dichiarazione dei redditi che non supera i 31.500 curo lordi? Domande la cui risposta, da parte dei vertici dell'Arma, non può e non deve essere quella già troppe volte sentita in passato. E che suona, più o meno, così: "Sono solo delle mele marce, l'Arma è un corpo sano".

Gli arresti per fare carriera È una risposta insufficiente, da qualunque lato la si guardi. Anche perché, stando a quanto si legge nelle 326 pagine dell'ordinanza del gip Luca Milani, che alla Levante le cose non andassero come dovevano andare non era affatto un segreto.

Ne era a conoscenza il superiore diretto, il maggiore Stefano Bezzecchieri, comandante della Compagnia Piacenza. È l'ufficiale che scavalca il maresciallo alla guida della Levante e impone all'appuntato Montella di fare più arresti. "Vediamoci quanto prima a quattr'occhi, in borghese, al di fuori del servizio", lo avverte al cellulare.

L'ordine è chiaro, va eseguito a ogni costo e con ogni mezzo. Pure se questo comporta, per usare le parole del giudice Milani, "la totale illiceità e disprezzo dei valori incarnati dalla divisa". Con l'unica garanzia dell'impunità, perché, si legge nell'ordinanza, "in presenza di risultati in termini di arresti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai loro sottoposti".

L'ultimo arrivato, un giovane maresciallo assegnato di recente alla Levante, è impressionato dalle azioni dei suoi nuovi colleghi. E al telefono si sfoga con suo padre: "Se lo possono permettere perché portano i risultati, portano un sacco di arresti l'anno. Ma perché? Perché hanno i ganci".

"I ragazzi si sono allargati" - Dello scellerato modus operandi del gruppo di Montella, delle sue uscite in servizio anche in stato di ebbrezza, pare sapere qualcosa anche il comandante della stazione di Campo Dell'Olio.

Parlando col maggiore Bezzecchieri, il maresciallo Pietro Semeraro il 22 febbraio scorso si lascia scappare questa considerazione: "Vabbè, comunque i ragazzi della Levante, più che gestiti devono essere ridimensionati, perché, forse, si sono allargati un po' troppo".

Sotto il naso di tre comandanti Che "i ragazzi della Levante" si siano allargati, quindi, non sembra proprio un segreto ben custodito. Eppure niente percepiscono, e niente eccepiscono, i tre comandanti provinciali che si sono succeduti a Piacenza dal 2017 ad oggi. Il colonnello Corrado Scattaretico nel settembre del 2018 viene trasferito a Roma, in un ruolo di stretta fiducia dei vertici: vice capo-ufficio del vicecomandante generale dell'Arma.

Il suo posto lo prende il colonnello Michele Piras, che arriva dal Reparto operativo di Catania, e lo mantiene fino al settembre dello scorso anno, quando è nominato dalla piacentina Paola De Micheli a capo della segreteria generale della neo-ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti. Viene sostituito dall'attuale comandante provinciale, il colonnello Stefano Savo.

Che nelle intercettazioni lo si sente prima chiedere spiegazioni a proposito di uno degli arresti sotto inchiesta, poi fare i complimenti al maresciallo in comando alla Levante per le operazioni contro lo spaccio. Alla Libertà, il quotidiano della città, Savo ieri ha detto: "Per noi è come un colpo al cuore, da parte nostra c'è totale disponibilità a collaborare per fare piena luce sui fatti. Penso all'amarezza dei miei uomini dediti con onestà e generosità al loro lavoro".

Le coperture - E però, anche tra i suoi uomini c'è chi sa bene che l'appuntato Montella è, per qualche ragione, un'intoccabile. L'episodio risale al 12 aprile di quest'anno. In pieno lockdown, e violando le disposizioni del governo, Montella dà una festa in giardino. Lorenzo Ferrante, in servizio presso la Centrale Operativa del Comando Provinciale di Piacenza, invia una pattuglia. Appena capisce che la casa è quella dell'appuntato, ordina alla pattuglia di lasciare il quartiere. Non solo. Chiama Montella "per scusarsi per il disguido", assicurandogli che "non avrebbe redatto alcun documento, per non lasciare traccia dell'accaduto".

Dal Comando Generale dei Carabinieri, a Roma, fanno sapere che i militari coinvolti sono stati sospesi dall'impiego, senza stipendio, e di aver inviato a Piacenza 2 stazioni mobili e 8 carabinieri per garantire il servizio della Levante, posta sotto sequestro. "I reati ipotizzati sono gravissimi", commenta in serata il comandante generale Giovanni Nistri. "Episodi del genere possono intaccare la fiducia nell'Arma ma io devo parlare a tutela dei 100mila carabinieri che ogni giorno e ogni notte sul territorio fanno il loro dovere".