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di Marco Grasso

 

Il Secolo XIX, 24 giugno 2020

 

Corridoi semivuoti. Udienze rinviate da un anno all'altro. Sfratti ed esecuzioni spesso posticipati senza una nuova data. Bloccati i processi che prevedono la presenza di testimoni. Avvocati che lamentano di essere trattati da intrusi in tribunale, costretti a prendere appuntamento per ordinarie visite in cancelleria e a contattare magistrati via mail.

Cancellieri che, a loro volta, esclusi dallo smart-working, rivendicano sicurezza. E, nel caso in cui la macchina dovesse recuperare il tempo perduto, propongono un tavolo per discutere gli straordinari. "Da febbraio l'attività giudiziaria è paralizzata - accusa il presidente dell'Ordine degli avvocati genovesi Luigi Cocchi - questa situazione sta causando gravissimi danni a noi avvocati, essenziali alla giustizia, ma soprattutto ai cittadini e al Paese.

Funziona solo il 15% dell'attività ordinaria. E questo ulteriore ritardo graverà su un sistema che già prima del Covid impiegava 2700 giorni per arrivare a una sentenza civile d'appello. Una giustizia ritardata non è giustizia". Al netto dalle misure di sicurezza anti-Covid (termo scanner all'ingresso, mascherine obbligatorie, distanziamento sociale), le fasi 2 e ora 3 della giustizia sembrano assomigliare da vicino alla 1 più che al ritorno alla normalità.

Ed è proprio questo vegetare che ha fatto saltare il tavolo fra i legali e il ministro Alfonso Bonafede, che ha tentato fino all'ultimo di bloccare la protesta. I rappresentanti del Foro attendevano un cambio di rotta che non è arrivato e ieri, a Genova in tutte le città d'Italia, si sono mobilitati: "Eravamo già da tempo in stato di agitazione - spiega Alessandro Vaccaro, tesoriere dell'Organismo congressuale forense ed ex presidente dell'Ordine genovese - non siamo qui a lamentarci perché non lavoriamo, ma perché così viene minata la credibilità dell'Italia. Le imprese con un credito non sono più in grado di chiederle in tempi accettabili.

Un penalista, oggi espulso dal palazzo di giustizia, non può trattare un patteggiamento via mail. I cancellieri non sono in condizioni di fare smart working e i giudici di pace, davanti ai quali arriva il 40% delle pratiche, hanno un contratto con Teams, ma sono senza computer e connessioni. In tutto questo, il Ministero vuole prolungare l'emergenza al 31 dicembre 2021. Noi non ci stiamo. Un giorno qualcuno ci spiegherà perché sono tornati a lavorare ristoranti, estetisti, bar, mentre giustizia e scuola sono fermi".

I vertici della magistratura genovese sono stati assorbiti dal gravoso impegno di trovare una nuova casa ad alcuni maxi- processi, come quello sul crollo della Torre Piloti e l'incidente probatorio del Ponte Morandi (una prima tranche estiva si svolgerà alla Fiera, mentre in autunno si riprenderà ai Magazzini del cotone). La grande preoccupazione, tuttavia, riguarda la ripresa dell'attività ordinaria. Sulla carta congelata fino al 31 luglio, di fatto a settembre considerando la pausa estiva e coronavirus permettendo.

Il senso d'incertezza che si respira in tribunale è tutto raccontato da un aneddoto, singolare ma non così raro in questi giorni. Il 10 giugno si doveva celebrare una delle udienze conclusive del processo per la frana di Arenzano, lo smottamento che provocò il blocco per mesi della via Aurelia, l'isolamento del Comune e che per poco non uccise due passanti. Il processo è scampato ai rinvii d'ufficio perché era praticamente finito, ma sull'udienza pendeva un'ultima incognita: se l'unica imputata - la titolare degli stabilimenti balneari cui spettava la manutenzione del versante - si fosse presentata in aula, ci sarebbe stato il serio rischio che il numero delle parti eccedesse rispetto alle direttive sanitarie imposte dalla Asl (senza entrare troppo nei dettagli, s'impone un limite di assembramento sotto le dieci persone).

Il caso si è risolto positivamente nel senso che l'imputata non era in aula e quindi si è potuto celebrare l'udienza, poi rinviata per repliche. L'adozione del processo telematico ha consentito la prosecuzione per esempio delle direttissime, ma si è arenata in un terreno di scontro.

Buona parte dell'avvocatura avversa l'utilizzo di strumenti come Microsoft Teams, programma adottato dal ministero della Giustizia per le teleconferenze, ritenendolo una compressione del diritto alla difesa. Un'avversione che ha prodotto cortocircuiti considerati dai magistrati "colpi bassi", come la leggina che ha imposto ai giudici civili di connettersi da remoto unicamente dal proprio ufficio.

I nervi sono tesi e lo dimostra la zuffa online fra alcuni cancellieri e il consigliere dell'Ordine degli avvocati Aurelio Di Rella. Incidente diplomatico ricucito dai vertici e terminato con scuse reciproche, che ha riproposto ancora una volta i due spettri con cui si ha a che fare questa fase: il timore d'una ripresa dei contagi e la crisi economica che assedia gli studi legali, costretti all'inattività. La partita, in ogni caso, si gioca in gran parte su tavoli nazionali. E non è semplice: uno è quello appena saltato.