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di Laura Bellomi


Famiglia Cristiana, 24 giugno 2020

 

Il riconoscimento per un reportage sulla discriminazione religiosa all'interno delle carceri italiane. Il Piazza Grande Religion Journalism Award è organizzato dall'Associazione internazionale dei giornalisti religiosi con il sostegno della Fondazione per le scienze religiose. Il premio è stato assegnato durante i lavori della European Academy of Religion.

"Una storia potente sulla discriminazione religiosa e il ruolo della religione nelle carceri italiane, con un forte messaggio sulla libertà e il pluralismo religioso". Con questa motivazione l'inchiesta Dio dietro le sbarre di Federica Tourn, pubblicata sul mensile Jesus, ha vinto il Piazza Grande Religion Journalism Award. "È una storia d'impatto, positiva, che va al cuore di ciò che significa vivere e non solo predicare il dialogo interreligioso. Non è solamente una critica al sistema attuale, ma presenta anche una possibile via per riformare il sistema carcerario", ha commentato la giuria internazionale.

Pubblicata lo scorso luglio sul mensile di cultura e attualità religiosa della Periodici San Paolo, l'inchiesta fa il punto sulla discriminazione nelle carceri italiane dove l'assistenza religiosa è garantita per legge solo dai cappellani cattolici. Ma oggi quasi metà dei detenuti professa altre fedi: il 36,1% è infatti musulmano, il 4,3% si dichiara cristiano ortodosso e "solo" il 55,75% cattolico - una maggioranza decisamente risicata rispetto a qualche decennio fa, quando in carcere c' erano pochi immigrati.

"I ministri di culto delle altre religioni possono accedere solo su richiesta e dopo un iter complesso. Per gli imam, in mancanza di un'intesa con lo Stato, è ancora più difficile", dice Federica Tourn, 49 anni, torinese, collaboratrice di Jesus - per il quale segue le notizie di Ecumenismo - e Famiglia Cristiana. Una situazione complessa dove al tema della libera espressione di una dimensione chiave dell'umano, del dialogo interreligioso e dell'ecumenismo, si affianca anche quello del rischio radicalizzazione.

"Le carceri oggi sono realtà multi-religiose e coltivare la fede con una guida spirituale può essere un antidoto alla radicalizzazione", dice l'autrice dell'inchiesta, che ha conosciuto da vicino le realtà le carcerarie del Milanese, dove la diocesi nel 2017 ha avviato il progetto Simurgh per la conoscenza e la promozione del pluralismo religioso negli istituti di pena, e di Roma.

"Spesso sono i cappellani che si fanno carico anche della cura pastorale dei detenuti di altre religioni, ma c' è tanto da fare, a partire - ad esempio - dalla formazione delle guardie carcerarie". Un' inchiesta tutta da leggere in cui le voci autorevoli - come quella di monsignor Pier Francesco Fumagalli, professore di Lingua e cultura cinese all' Università Cattolica e docente del progetto Simurgh, o di Hamid Distefano, della Commissione affari giuridici della Comunità religiosa islamica italiana - sono integrate con dati e statistiche.

A illustrare il servizio, il reportage fotografico di Isabella Beatrice De Maddalena, che ha indagato il tema del diritto al pluralismo religioso alla Casa circondariale di Monza e quello delle donne in carcere nella Casa circondariale di San Vittore a Milano e all'Istituto di custodia attenuata per detenute madri (Icam), sempre a Milano. Il Piazza Grande Religion Journalism Award, quest'anno alla prima edizione, è promosso dall'Associazione Internazionale dei Giornalisti della Religione (Iarj) e dalla Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII (Fscire).