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di Goffredo Buccini


Corriere della Sera, 24 giugno 2020

 

Strutture da quadruplicare, togliendo ai sindaci il peso dell'impopolarità. Però gli irregolari non possono continuare a bivaccare nelle nostre città. Uno Sprar in ogni Comune, un Cie in ogni Regione. Certo, è uno slogan: ma non sarebbe così difficile da spiegare, coniugando solidarietà e sicurezza. Gli italiani non meritano di essere trattati come bambini. Invece sembrano relegati in una sorta di eterna minorità dall'alone di esoterico imbarazzo che avvolge le manovre per modificare i controversi decreti Sicurezza voluti da Matteo Salvini e tramutati in legge dalla precedente maggioranza Lega-Cinque Stelle. Mentre l'immigrazione va riacquistando potere evocativo e carica divisiva, rinviare tutto a settembre non aiuta: sembra un po' la tattica del pallone calciato in tribuna.

La nuova maggioranza del governo Conte 2 non riesce a liberarsi di questa ombra lunga, dovuta all'inconciliabilità di due posizioni: quella del premier e dei Cinque Stelle che, avendo varato i decreti assieme a Salvini, hanno comprensibili difficoltà nel cancellarli con un tratto di penna; e quella dei democratici che, per bocca del loro segretario Zingaretti, avevano posto a settembre dello scorso anno i due decreti in cima alla lista nera, promettendone prima l'abrogazione, poi una profonda riforma e, via via, un più prudente ritocco che seguisse i pur prudenti rilievi formulati dal presidente Mattarella al momento della loro conversione in legge.

Diciamolo, dunque: il fardello della chiarezza, in questo caso, non può incombere sulla prima componente dell'alleanza, quella pentastellata. Per le suddette ragioni psicologiche e per le contraddizioni che il tema apre nella base dei Cinque Stelle, divisa tra un'anima nostalgica del rapporto con il "Capitano" leghista e una più dichiaratamente vicina alle istanze dem.

Tocca (e conviene) all'altra parte dell'alleanza accendere la luce su un tema così grande e dirimente. Come? Prima di tutto strappandolo al sottoscala dell'accordicchio tra fazioni che pare l'abbia risucchiato. È sul segretario del Partito democratico (o, in caso di afasia protratta, su chi volesse farne le veci) che incomberebbe l'onere di levarsi in piedi e di formulare a voce alta in una sede pubblica una proposta chiara e articolata, un progetto onnicomprensivo sulla questione delle migrazioni, degli sbarchi, dell'accoglienza e della nostra convivenza pacifica che, almeno agli occhi di moltissimi italiani, vi appare connessa.

Non è impossibile fare meglio di Salvini. Il suo primo decreto Sicurezza, cancellando la protezione umanitaria senza prevederne gli effetti e senza preparare un adeguato piano di rimpatri tramite accordi bilaterali coi Paesi di origine, ha prodotto nuova irregolarità anziché diminuirla, accrescendo di almeno trentamila invisibili la quantità di sbandati che s'aggirano per le periferie italiane. Il suo secondo decreto è nato proprio per mascherare i guai del primo: spettacolarizzando i blocchi in mare dei pochi profughi salvati dalle navi Ong per distogliere l'attenzione dalle centinaia di migliaia di irregolari che l'allora ministro degli Interni non riusciva neppure a rintracciare.

Per riformare quei decreti converrebbe partire dal territorio, cioè proprio dove Salvini ha fallito. E se ha fallito è perché ha depotenziato gli Sprar, l'accoglienza di secondo livello basata su piccoli numeri facili da integrare. Il sistema aveva già una sua debolezza intrinseca: reggendosi sui Comuni, era facoltativo, con la conseguenza che solo duemila amministrazioni su ottomila vi avevano aderito, rendendo gli Sprar fragili e insufficienti. La prima vera riforma è prevedere Sprar obbligatori, quadruplicandoli, togliendo ai sindaci il peso dell'impopolarità che l'accoglienza può comportare e incentivando le comunità con opportune compensazioni. Al tempo stesso, i migranti non possono continuare a bivaccare nei ghetti delle nostre città, chi non ha titolo per stare tra noi deve essere contenuto in strutture dignitose ma sicure: i Cie (o come li si voglia chiamare), centri dove gli irregolari restino fino all'eventuale rimpatrio, sono pochi; vanno riorganizzati in misura di uno per Regione, come sosteneva Marco Minniti nella sua stagione al Viminale, mantenendo per ora invariato il periodo massimo di trattenimento (occorre tempo per definire posizioni e destini di ognuno).

La protezione umanitaria era il cerotto con cui coprire chiunque non avesse diritto ad altre forme di protezione ed è stata di certo abusata: non si tratta solo di ripescarla con un nome diverso, ma di darle paletti che ne evitino l'abuso. Gli italiani devono percepire insomma una via intermedia tra la posizione "di cuore" e quella "di pancia", come scriveva Alessandro Rosina in un dossier della Fondazione Moressa: e questa è la via della ragione, "lo scenario di testa".

Trovato un equilibrio visibile tra solidarietà e sicurezza, una riforma di sistema deve sciogliere infine l'equivoco su cui da trent'anni si è avvitato il dibattito, confondendo le figure dei profughi e dei cosiddetti migranti economici. I primi dobbiamo salvarli per restare umani (salvo redistribuirli in una Europa capace di condividere non solo l'emergenza Covid), dei secondi abbiamo bisogno per restare competitivi.

Svitandoci dall'immagine dei barconi, abbandonando la guerra alle Ong, andando a cercare in Africa accordi bilaterali che sostengano il futuro di chi viene rimandato indietro e promuovano le competenze di chi ha titolo per partire. La fine del proibizionismo segnò il tramonto dei boot-legger in America: non è difficile spiegare agli italiani cosa occorra davvero per battere i contrabbandieri di uomini nel Mediterraneo. Basta il coraggio di dirlo.