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di Marta Serafini


Corriere della Sera, 20 gennaio 2020

 

Esce in Italia il 13 febbraio il documentario di Waad al-Kateab candidato agli Oscar. Lei, con la figlia e il marito, adesso vive a Londra e racconta: "Ho girato tutto questo perché voglio che Sama un giorno possa rivederlo". "Sama, ti ricordi di Aleppo? Mi biasimerai per non averti portato via subito? O mi darai la colpa per essere venuta via?".

Sama sta giocando in cucina a Londra. A 4 mila chilometri da lei settimana scorsa sono morti 8 bambini in un raid ordinato dal presidente siriano Bashar Assad. Sama non si ricorda di Aleppo. È venuta via la notte del 21 dicembre 2016, in automobile, mentre faceva freddo ed aveva la febbre. E ora la casa, dove ha camminato e sorriso per la prima volta, non c'è più.

"Ho iniziato a filmare e documentare proprio perché volevo che mia figlia un giorno avesse la possibilità di rivedere tutto questo". Quando scoppia la rivoluzione in Siria, nel 2012, Waad al-Kateab ha 18 anni. Studia marketing alla Aleppo University. Incontra un giovane medico di nome Hamza. Gioia, rabbia, amore, paura e odio. Manifestano insieme, si innamorano, fanno politica, anche quando il regime ricorre alla violenza per soffocare le rivolte, gettando la città nel baratro della guerra.

Alcuni dei loro amici muoiono e loro stessi sfuggono per un soffio ai cecchini, agli attacchi aerei e alle bombe. Ma Waad non smette mai di riprendere. Con la macchina fotografica, con il cellulare. Poi, nel mezzo di tutto ciò, Hamza chiede a Waad di sposarlo.

E mentre i barrrel bomb, i barili bomba imbottiti di chiodi ed esplosivo, cadono sulla città, il 1° gennaio 2016 nasce Sama. Avanti veloce di quattro anni, la storia di quei ragazzi e di quella bambina è diventata un documentario :- For Sama - distribuito da Wanted Cinema, già presentato a Cannes e proiettato alle Nazioni Unite. E che il 13 febbraio esce in Italia con il patrocinio di Amnesty International e la voce di Jasmine Trinca.

 

For Sama è la lettera di una madre a una figlia, una ninnananna, la stessa che canta alla piccola per distrarla dalle bombe. Perché ha deciso di renderla pubblica?

"Ho iniziato a raccontare la mia storia senza un piano, filmando le proteste in Siria sul mio cellulare, come facevano tanti altri attivisti. Fin dall'inizio ho capito che ero più affascinata dal catturare storie di vita e umanità, piuttosto che concentrarmi sulla morte e la distruzione. E da donna, pur vivendo in una parte molto conservatrice di Aleppo, sono stata in grado di accedere alle esperienze di donne e bambini, tradizionalmente vietate agli uomini. Questo mi ha permesso di mostrare la realtà invisibile dei siriani".

 

Quando è nata Sama aveva già iniziato a documentare gli orrori di Aleppo per Channel 4. I suoi reportage sul conflitto in Siria hanno ricevuto quasi mezzo miliardo di visualizzazioni e hanno vinto 24 premi - incluso l'Emmy Award nel 2016...

"Quando siamo riusciti a venire a Londra nel 2016, a Channel 4 mi hanno accolto come in una famiglia. Mi sono messa a lavorare con Edward (Watts, coregista del documentario, ndr) e guardando tutto quel materiale - erano più di 500 ore di girato - è nata l'idea del documentario. L'obiettivo, oltre a raccontare a Sama della sua infanzia, è di tenere accesa la luce sulla Siria".

 

In queste ore in Siria è in corso un'altra sanguinosa battaglia, quella di Idlib, l'ultimo bastione dell'opposizione, che Assad sta cercando di espugnare con il sostegno di Mosca. Perché ne parliamo così poco?

"Non riesco a capacitarmi di questo buio. Ma la speranza - proprio come accaduto per la guerra in Vietnam - è che le immagini possano fermare il sangue. For Sama vuole anche essere un appello all'impegno: conoscere è una forma di resistenza ai regimi. Non so se sia il termine giusto ma non mi sento solo una regista, ogni tanto penso a me come ad un'influencer delle ingiustizie".

 

Parte degli oppositori sono passati con le milizie jihadiste e hanno commesso crimini di guerra. Come vive questa contraddizione?

"Non condivo quella scelta ovviamente. Ma troppe persone in Siria hanno visto talmente tanto orrore da non poter sopportarlo. E allora hanno deciso di usare gli stessi metodi. Io sono stata fortunata. Ma chi può dire cosa avrei fatto se qualcuno avesse ammazzato Sama o Hamza... Inoltre ci sono tante persone che sono rimaste buone nonostante tutto. Ed è a loro che va il nostro supporto".

 

Lei e la sua famiglia avete ottenuto asilo politico in Gran Bretagna. Come ci siete riusciti?

"Grazie al mio lavoro per Channel 4, dopo un anno che eravamo in Turchia, ho ricevuto il visto. Così a maggio 2018 siamo arrivati all'aeroporto di Heathrow e abbiamo richiesto asilo lì. La mia seconda figlia Taima, che all'epoca aveva quasi un anno, non aveva documenti. Ho chiesto aiuto all'ambasciata siriana, ma non ci hanno aiutato perché Hamza era ricercato dal regime. Così ho lasciato Taima in Turchia per cinque mesi fino a quando non ci è stato concesso l'asilo e abbiamo potuto portarla in Gran Bretagna".

 

Sperate di tornare in Siria, un giorno?

"Ovviamente. Non solo perché significherebbe rivedere la casa dove sono nata. Mi piacerebbe portare le bambine nel mio giardino, far sentire loro il profumo delle rose".

 

Siete arrivati a Londra in un momento particolare, proprio in questi giorni la Gran Bretagna si sta organizzando per uscire dall'Europa. Com'è la vostra vita ora?

"Tutti sono stati molto gentili. Dopo che i miei vicini hanno visto il film, mi hanno lasciato una montagna di biglietti davanti alla porta. Ho ottenuto una borsa di studio universitaria per un master in comunicazione. Hamza sta lavorando per una società che fornisce servizi bancari nelle aree di conflitto e quest'anno inizia un master in medicina. Arrivati qui Sama ha avuto parecchi incubi, la guerra deve averla sicuramente traumatizzata. Ma ora sta molto meglio. Entrambe le bambine parlano l'inglese con l'accento britannico e vivono come due bambine inglesi. Ma non abbiamo mai smesso di rivolgerci a loro in arabo. Non vogliamo che dimentichi. Non vogliamo che nessuno di noi lo faccia".