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di Furio Colombo


Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2020

 

L'implacabile calendario della Rete fissa con esattezza le ricorrenze e ti obbliga a celebrarle. Nei giorni scorsi sono cadute, e sono state ricordate di seguito, tre ricorrenze di grandi fatti che hanno segnato in modo aspro e profondo la vita italiana.

Parlo della strage di Piazza Fontana, della strage di Bologna e della uccisione mafiosa di Piersanti Mattarella. Impossibile non notare subito che, nella lista celebrata in sequenza di tre gravi crimini, solo uno (Mattarella) può essere definito con una parola (mafia) che i fatti successivi hanno confermato, in un contesto storico su cui hanno potuto lavorare e allargare la conoscenza dei fatti, giornalisti, giudici, storici e politica.

Piazza Fontana, mentre la racconti oggi per chi non sa o dimentica, era e resta un fatto misterioso che appare più grande col tempo, proprio perché non ha un contesto (chi c'era, chi voleva, perché?) e non ha colpevoli. Una fitta rete di depistaggi ha contagiato e squilibrato subito ogni possibile ricostruzione dell'evento, pattuglie diverse di imputati si sono susseguite, in inchieste e processi diversi, alla sbarra, e non ci sono mai stati eventi a cui si possano accostare le parole verità o certezza.

C'è voluto del tempo per passare dagli anarchici ai fascisti come presunti colpevoli. Ma il tempo e lo spazio si erano intanto dilatati al punto da isolare i fatti e trasformare la tragedia in faldoni, mentre l'attenzione si è voltata altrove. Si è sentito, questo sì, l'odore del potere, cioè la presenza di gente adatta per lavorare a una strage, gente che, almeno nell'ultimo ciclo di processi, non sembrava essere - o essere stata-tanto lontano dai mandanti.

L'odore veniva da destra, ma giornalismo, libri e giudici non hanno potuto approfondire o sapere di più. La roulette di quell'evento di morte gira ancora e la pallina non si è fermata. La strage di Bologna, un evento molto più grande in tanti sensi, si è diretta verso un esito strano: personaggi sproporzionatamente piccoli della brutta vita italiana di quegli anni, rivengono presentati con sicurezza come gli autori di un evento grandissimo, che avrebbe dovuto avere per forza (salvo disgrazia) mandanti capaci di pensare e ordinare un cambiamento brutale della storia italiana.

Invece ritroviamo di fronte al fatto più grave e arrischiato dello stragismo mai accaduto in Italia, affidato, come per caso, a dei giovani di passaggio, esperti solo in lotte fra bande armate, omicidi secondo decisioni personali o a scontri a fuoco con la polizia che li conosceva e li braccava. Viene in mente la domanda chiave: chi li ha mandati, considerata l'ampia scelta che gli organizzatori di un simile piano avrebbero avuto nel inondo febbrile e affollato de i tecnici dell'esplosivo, nei Paesi industriali e in Medio-Oriente in quegli anni?

È utile ricordare una vicenda americana (terrorismo interno) paragonabile a Bologna per assurdità della strage e numero delle vittime (168 morti, tra cui 20 bambini): l'esplosione che ha distrutto l'edificio federale di Oklahoma City, funzionari e pubblico, il 29 aprile 1995.Anche in quel caso la polizia federale si è orientata subito a destra, in questo caso nel mondo religioso-fondamentalista che due decenni dopo avrebbe votato Trump.

E ha puntato sul soldato McWeight, militante del culto, esperto di esplosivi, sulla base di una evidenza non smentibile. È stato lui a portare il furgone con l'esplosivo nel garage dell'edificio saltato in aria. E lo ha fatto nel "giorno della vendetta". Infatti il 29 aprile di due anni prima la polizia federale, nel tentativo di indurre alla resa il predicatore fondamentalista David Koresh che distribuiva armi ai suo i fedeli, aveva provocato l'esplosione dell'edificio e la morte di sessanta militanti (20 bambini).

Colpisce la differenza. Nella vicenda americana tutto è collegato e tragicamente ragionevole. La vicenda italiana ci presenta personaggi solitari e isolati che hanno compiuto una strage immensa senza che nessuno glielo abbia chiesto. Colpisce il fatto che l'ultimo processo di questi giorni, e l'ultima condanna all'ergastolo, tanti anni dopo i fatti che stiamo narrando, ci presenti un co-responsabile ancora più piccolo, ancora senza mandanti, spiegandoci che adesso la tragica storia ha avuto il suo sigillo finale.

Invece la storia resta intatta con i suoi personaggi di sempre: il bisogno legittimo e appassionato di verità delle vittime e per le vittime; la proclamazione dei colpevoli, personaggi senza potere, senza know how e senza legami conosciuti o almeno intravisti con gli ideatori di un delitto che poteva cambiare la storia. E un vuoto che fa paura e che oltrepassale risposte date finora, persino se fossero vere: che cosa c'era (e forse che cosa c'è) dietro questa tragica scena che forse non è finita?