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di Lirio Abbate


L'Espresso, 12 gennaio 2020

 

L'ex Nar ribadisce la sua estraneità all'attentato del 2 agosto 1980 e in aula, prima della sentenza che lo ha condannato all'ergastolo, punta il dito contro Espresso e Repubblica: "È tattica della diffamazione". L'ex terrorista nero dei Nar, Gilberto Cavallini, condannato all'ergastolo per la strage della stazione di Bologna, prima di assistere alla lettura del dispositivo di sentenza della Corte di Assise, ha rivendicato in aula, con spontanee dichiarazioni, sue responsabilità passate, ma ha respinto ogni coinvolgimento in questo attentato del 2 agosto 1985 che provocò 85 morti e 200 feriti.

Ha rivendicato il suo ruolo violento per altri episodi, per i quali dice di stare pagando, e ha puntato il dito contro l'informazione, con i giornali del gruppo L'Espresso e Repubblica. Il pensiero del Nar Cavallini è quello di accusare platealmente l'informazione per le inchieste giornalistiche che sono state pubblicate e per le notizie che sono state raccolte sul coinvolgimento del gruppo dei neri in questa strage.

Cavallini ha sostenuto in aula che "è tutta strumentalizzazione che parte sempre da quei gruppi editoriali tristemente noti nel nostro Paese per la tattica della diffamazione, come il gruppo editoriale L'Espresso e Repubblica, che, non a caso, sono i referenti anche di molte persone qua dentro quando vogliono far sentire la loro voce".

Non si pente e accusa Espresso e Repubblica di "tattica della diffamazione". Le dichiarazioni in Aula del fascista condannato all'ergastolo per l'attentato del 2 agosto 1980Radio Radicale

Ecco, ancora una volta le nostre notizie vere e documentate fanno male ai protagonisti di queste storie che il giornalismo ha contribuito a far conoscere. E per questo motivo che continuano a diffondere pubblicamente il loro malessere per le nostre inchieste. È l'effetto del dito puntato. Se il giornalista colpisce con un sasso lo stagno immoto, il punto da cui partono i cerchi concentrici diventa l'obiettivo da colpire.

Vuole questo Cavallini? Basta puntare il dito. Se un giornalista scrive certe cose in un clima stagnante, con una parte della categoria che rinuncia a un'autonomia di pensiero e la stampa che è ferma a guardare, quel giornalista o quella testata si espone. È una vecchia storia. Una storia che l'Italia conosce bene, si ripete ogni volta che il lavoro del giornalista, spesso lasciato da solo a raccontare fatti scomodi, si scontra con gruppi di potere e vuole fare luce sulle zone d'ombra dove questi gruppi conducono i loro affari e le loro relazioni.

Nelle sue dichiarazioni Cavallini ha detto: "Se voi credete che dei ragazzini di poco più di 20, addirittura dei minorenni siano stati o siano la lotta armata o gli esecutori da parte di organi o gruppi di potere come la P2 o criminali come la mafia, come si sta cercando di far vedere in questi giorni a mio carico, fate un grosso errore e non fate un grosso servizio né alla verità, né al Paese". Ed ha aggiunto: "Poi io sono pronto a subirne tutte le conseguenze perché mi sono imposto di accettare tutto quello che mi viene e di offrire la mia sofferenza a Nostro Signore, quindi non mi lamenterò neanche di questo.

Però non accetto che tutto questo venga spacciato, presentato come una verità alla quale sia doveroso credere. Di quello che non ho fatto non mi posso pentire. Dico anche a nome dei miei compagni di gruppo che non abbiamo da chiedere perdono a nessuno per quanto successo il 2 agosto 1980. Non siamo noi che dobbiamo abbassare gli occhi a Bologna".

Cavallini è il quarto uomo della Strage della stazione come stabilito dalla Corte di assise. A questa decisione si è arrivati dopo sei ore e mezza di camera di consiglio, al termine di un processo durato quasi due anni, 40 udienze e una cinquantina di testimoni ascoltati. Già condannato a otto ergastoli per vari delitti, Cavallini è ora in semilibertà a Terni.

Difficilmente sconterà la nuova pena inflitta che prevede il carcere a vita, quando e se sarà definitiva, visti i 37 anni in detenzione. Ma la sentenza è comunque un tassello in continuità con la verità giudiziaria che vede come responsabili gli altri tre Nar Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, compagni d'armi di Cavallini detto "il negro", il meno giovane della banda. Il prossimo passo è verso i mandanti della strage.