sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Beppe Severgnini


Corriere della Sera, 12 gennaio 2020

 

Quello che scriviamo e non dovremmo. Potrebbe essere un buon titolo per un film, ma per adesso è solo un consiglio. Attenzione, le conseguenze non sono soltanto personali, professionali, sociali, sentimentali. Possono esserci anche conseguenze giudiziarie.

Quello che scriviamo in chat e non dovremmo. Potrebbe essere un buon titolo per un film, ma per adesso è solo un consiglio. Attenzione, le conseguenze non sono soltanto personali, professionali, sociali, sentimentali. Possono esserci anche conseguenze giudiziarie. Un gruppo WhatsApp è entrato, per la prima volta, in un'aula di tribunale. Se ne sono accorti alcuni genitori di Ferrara: convinti che un'educatrice dell'asilo-nido fosse responsabile di maltrattamenti - una sculacciata a una bimba di due anni - hanno creato un gruppo per cercare altre testimonianze. Da quel momento, ogni episodio di irascibilità, incubi o piccole regressioni dei figli veniva ricondotto alla maestra, subito licenziata.

Durante l'istruttoria, in sede penale, è emerso però che, nel gruppo dei genitori, "qualcuno aveva la tendenza a drammatizzare o esagerare le dinamiche che avrebbero potuto essere anche nella normalità di un asilo". Per il giudice, le chat hanno creato un allarme crescente, creando fenomeni di suggestione. La maestra è stata assolta con formula piena (sentenza 161 del 30 dicembre). Ora potrà chiedere un risarcimento.

Apprendo questo da un commento sul Sole 24 Ore di Marisa Marraffino, brillante avvocata toscana. Ci siamo conosciuti tramite il forum Italians nel 2010, in occasione del suo pirotecnico arrivo a Milano. È stata tra i primi a capire che i comportamenti in rete non sono irrilevanti, dal punto di vista giudiziario; e nuovi strumenti - i social e le chat, soprattutto - avrebbero introdotto questioni nuove, in materia di privacy, reputazione e diffamazione.

Non sono altrettanto perspicaci altre persone che conosco. Spesso persone con esperienza e responsabilità. Per loro, i social sono un parco-giochi. I gruppi WhatsApp, una sorta di zona franca, dove tutto è consentito. Sghignazzare e fare battutacce come adolescenti in libera uscita, o peggio: insultare questo e quello, bestemmiare, sparare battute razziste, trattare le donne come oggetti (con tanto di foto). Una volta si diceva: linguaggio da caserma.

Nelle caserme, oggi, dicono: linguaggio da chat. Che può finire in tribunale: imbarazzando anche coloro che, su quella chat, si sono comportati con buon senso. Suggerisco un doppio esame: di coscienza, e dei nostri gruppi WhatsApp. Ricordando una regola (che ho trasformato nel mio motto professionale): meno è meglio.