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di Alberto Zorzi

 

Corriere del Veneto, 4 gennaio 2020

 

La triste storia di un detenuto del carcere di Venezia. Il garante. "Struttura sovraffollata". Ci aveva già provato la vigilia di Natale, tagliandosi le vene, ma era stato salvato in extremis grazie all'intervento degli agenti della Polizia penitenziaria, avvisati dai compagni di cella che se ne erano accorti. Ma questo non gli ha impedito di provarci una seconda volta, un paio di giorni dopo: e questa volta - purtroppo - con successo. Un po' per una profonda depressione, un po' per le liti con altri detenuti nordafricani, che l'avrebbero anche picchiato. Per questo, dopo che lo aveva chiesto con insistenza anche per potersi ricongiungere con alcuni amici, un detenuto di 33 anni di origine colombiana ma residente da anni a Marghera, il giorno di Natale era stato trasferito dal braccio sinistro a quello destro del carcere di Santa Maria Maggiore.

Dopo che era stato monitorato con attenzione tutto il giorno, di sera un agente si è però accorto che era chiuso in bagno da troppo tempo. Ha chiamato i colleghi e quando sono entrati l'hanno trovato impiccato con i lacci delle scarpe. Una tragedia che, come ha ricordato ieri il Garante nazionale per i detenuti Mauro Palma, ha portato il numero dei suicidi nelle carceri italiane a quota 53 in tutto il 2019. E la procura di Venezia, con il pm di turno Elisabetta Spigarelli, ha disposto l'autopsia per escludere qualsiasi tipo di "giallo".

Il giovane era in carcere per droga e pare che fosse egli stesso tossicodipendente. Era stato arrestato alcuni mesi fa ed era ancora in attesa di giudizio. Inizialmente era stato molto attivo, frequentando la biblioteca del carcere, dove si era procurato libri e riviste, e molti lo ricordano come un bravissimo disegnatore. Ma secondo le testimonianze di chi gli aveva parlato di recente, era divenuto triste perché era nato proprio il giorno di Natale e non sopportava l'idea di trascorrerlo in cella, oltre ai problemi con gli altri compagni.

Dopo l'episodio del 24 dicembre erano stati informati i medici, ma non si è ritenuto necessario di fargli effettuare una visita, anche psichiatrica. E pur essendo controllato, è riuscito a beffare tutti con dei lacci delle scarpe che forse non avrebbe dovuto avere, visto il suo stato di malessere.

La tragedia rilancia il tema della situazione critica del carcere veneziano, nonostante non si siano più toccati gli oltre 350 detenuti di qualche anno fa.

"Ma a dicembre erano 267 - dice il garante provinciale dei detenuti Sergio Steffenoni - il problema è soprattutto quello dei servizi: di recente ho scritto al tribunale di Sorveglianza e al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per segnalare che gli educatori sono passati da 3 a uno e mezzo, dopo il pensionamento di uno di loro. Così non si riescono a dare risposte e poi, se tutte le carceri sono affollate, un detenuto in difficoltà non può nemmeno essere trasferito".

 

Detenuto si toglie la vita in carcere a Venezia, di Eugenio Pendolini (La Nuova Venezia)

 

Santa Maria Maggiore, a compiere il gesto estremo un 33 enne senza fissa dimora arrestato per furto. La Procura dispone l'autopsia. Ha deciso di usare le lenzuola per compiere quel gesto estremo, lontano dagli occhi di chi lo aveva in sorveglianza, che non gli ha lasciato scampo. È stato trovato così, con un cappio intorno al collo, un detenuto all'interno del carcere di Santa Maria maggiore, a Venezia. I fatti risalgono al 29 dicembre, ma sono stati resi noti soltanto ieri da Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà, durante la trasmissione di Radio Radicale condotta dall'esponente del Partito Radicale Rita Bernardini.

A decidere di farla finita è stato un giovane uomo di 33 anni di origini straniere, arrestato nei mesi scorsi per furto aggravato perché compiuto in un luogo pubblico. Senza fissa dimora, l'uomo era ancora in attesa di giudizio e viene descritto come una persona instabile, da chi ci ha avuto a che fare nelle ultime settimane. I controlli erano all'ordine del giorno nella sua cella, ma non sono stati sufficienti per prevenire il suicidio. Come deciso dal pubblico ministero Elisabetta Spigarelli, sul corpo del 33enne è stata disposta l'autopsia per certificare le cause della morte.

Con l'ultimo caso di Venezia, salgono a 53 i suicidi nel corso del 2019 all'interno delle carceri italiane. Un numero spropositato, per un'istituzione il cui compito è di punire chi disobbedisce alla legge al fine di reinserirlo all'interno della società.

E il dato si aggiunge al cronico sovraffollamento delle prigioni. Nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore, ad esempio, ad oggi il totale dei detenuti è di 261 su 159 posti regolamentari (oltre 2.500 in Veneto). E nel resto d'Italia va ancora peggio: la medaglia d'oro per la regione con il maggior numero di detenuti va alla Lombardia (8.610), seguita da Campania (7.844), Lazio (6.528).

A ciò, si aggiunge poi la carenza di personale penitenziario all'interno delle strutture. "E la situazione si aggrava", racconta chi conosce dall'interno la realtà, "nei casi di lunghi piantonamenti nei reparti psichiatrici così manca personale per la sorveglianza dinamica nei reparti". Anche Nicola Pellicani, deputato Pd che ha constatato da vicino la situazione delle carceri veneziane, torna sul dramma di fine anno a Santa Maria Maggiore e sulla situazione complessiva.

"L'ennesimo suicidio è un fatto tragico", le sue parole, "che testimonia un problema purtroppo comune in tutta Italia. La direzione, il personale tutto, fa miracoli per cercare di far funzionare al meglio il carcere, ma i limiti appaiono evidenti, anzitutto nella struttura.

Il personale è costretto a fare turni di 8 ore anziché di 6 come previsto. Tutto è più difficoltoso, dal trasferimento dei detenuti, alle manutenzioni, per non parlare della sorveglianza". Fondamentale, per Pellicani, è promuovere occasioni di lavoro nelle carceri. "E poi", conclude il deputato, "bisogna chiedersi se per i piccoli reati il carcere sia il luogo più idoneo".