sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Luca Di Bartolomei


L'Espresso, 22 dicembre 2019

 

Sulle detenzioni e sul porto d'arma c'è meno controllo che sulla patente di guida. E nessuna norma permette di mettere in connessione l'uso di farmaci per i disturbi psichiatrici con la possibilità di avere un revolver o un fucile. Ma quanto disagio e quante angherie siamo in grado di sopportare prima di metter in pausa la razionalità? In un paese dove il declino del senso civico è costante ed orizzontale queste domande restano in attesa di risposta mentre il carico di frustrazione e aggressività cresce e spaventa.

Come la scorsa settimana, quando tornando verso casa mi sono imbattuto in un paio di universitari che molestavano un povero cristo addormentato in una strada d'angolo dietro al Verano, il cimitero monumentale di Roma. Due ragazzi così miseri e violenti da prendersela con un disgraziato "per fare serata". Due ragazzi che di colpo si sono trovati davanti un gruppo di adulti, normali fino un attimo prima e poi d'istinto rabbiosi per quanto avevano visto. Più che la cattiveria di quei due, a colpirmi è stata la violenza della nostra reazione: noi, in gruppo, per poco non prendevamo a botte due ventenni stupidi. E ripensare a quell'istinto di "farsi giustizia" mi produce vergogna.

Galleggiamo in una narrazione tossica dove l'unico paradigma sembra l'affermazione di sé, costi quel che costi. La menzogna di un successo inteso come fama, soldi e potere alla portata di tutti quelli che hanno il "coraggio" di prenderselo a scapito dell'altro sta definitivamente annientando quel minimo senso di comunità che era rimasto. E tutta questa distanza fra una falsa percezione di benessere e la mediocre quotidianità di tanti ci peggiora, ci incattivisce. Un paese disgregato, ogni giorno psicologicamente più fragile; e non è un caso se ci confessiamo come una nazione che torna a desiderare l'uomo forte.

La nostra intolleranza alla vista del disagio, sia momentaneo o cronicizzato ad esempio per una malattia mentale, dovrebbe preoccuparci molto. Mostriamo sempre maggiore reticenza alla solidarietà, facendo di tutto per rimuovere ogni rappresentazione di malessere, addirittura accettando la rinascita di lager sull'altra sponda del Mediterraneo. Disagio, solitudine, incertezza, rabbia sono sensazioni diffuse come moneta corrente e forse non bastano più a dare le coordinate di un malessere profondo.

Il sintomo più drammatico e radicale personalmente lo ritrovo osservando le statistiche di suicidio. Gli ultimi dati dell'Istat parlano di 12.877 fra il 2014 e il 2017. Otto su dieci sono stati compiuti da uomini. Ma cosa ancora peggiore sono giovani: quella dell'abbassamento dell'età nella quale questi tentativi sono messi in atto è forse la più triste delle novità. Tanto la cattiveria si è diffusa fra gli italiani quanto la sensibilità diventata una colpa. Giovani e anziani, ceti sociali fragili nei quali sono più intensi i sentimenti di solitudine, insicurezza e incertezza. E poi, ovviamente, come agnello sacrificale le donne: in questo caso vittime predestinate di ogni fase storica in cui paura e rabbia rendono i maschi ossessionati.

Ma se non inserissimo tutto questo in un contesto politico compiremmo un enorme sbaglio: in una cornice sociale ad alta infiammabilità dove il futuro spaventa e la prima preoccupazione riguarda il lavoro come strumento di sopravvivenza e non più di miglioramento viene da chiedersi se la riforma della legislazione sulla legittima difesa e sulle armi non rappresenti un gigantesco fattore di rischio. Una normativa che se da un lato non ha fondamento nei numeri (in costante riduzione) dell'Italia criminale, dall'altro rappresenta la soddisfazione di questa rabbiosità diffusa: la possibilità di farsi una propria "giustizia".

Senza dimenticare un aspetto essenziale: che la paura è un sentimento classista, perché colpisce maggiormente chi non ha gli strumenti culturali per elaborare fatti e contesti che gli consentirebbero di ridimensionare le proprie preoccupazioni. Sulle detenzioni e sui porto d'arma c'è meno controllo che sulla patente di guida. In pochi ad esempio si preoccupano di revocare un porto d'arma a chi è stato oggetto di un Trattamento sanitario obbligatorio e nessuna norma permette di mettere in connessione l'uso di farmaci per il controllo dell'ansia, della depressione o più in generale di disturbi psichiatrici con la possibilità di avere a casa, dentro un cassetto, un revolver o un fucile. Eppure in una società in cui crescono gli elementi di incertezza, di solitudine e di senso di abbandono, maggiore dovrebbe essere il controllo sulle armi, sulla loro diffusione e sul loro uso. E la cronaca settimanale, da Palermo a Udine passando per Esperia e Nettuno, ce lo ricorda visto che già oggi i legali detentori di armi uccidono più della mafia.

Per fronteggiare quella che la sanità statunitense considera "un'emergenza di sanità pubblica" (American Medical Association 2018) e che nel prossimo decennio stima "oltre un milione di americani feriti o uccisi da una pistola", un ruolo speciale (insieme alle forze di polizia) dovrebbero svolgerlo coloro che - come i medici - sono più vicini alle famiglie, alle loro necessità, avendo gli strumenti per cogliere le condizioni di salute della mente, le capacità di comprendere e valutare le situazioni di pericolo e di misurare le proprie reazioni (Bauchner Jama 2017, Taichman 2017). "Medici dei cittadini", ha detto recentemente Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), "garanti di quei diritti, di quei principi e di quelle libertà che sono alla base della nostra democrazia".

Se il dovere principale del medico è la tutela della vita, tra i tanti fronti aperti per la professione dovrebbe trovare spazio anche questo: in tutti i Paesi dove le armi da fuoco sono più facilmente accessibili, alle persone accade un maggior numero di incidenti, si compiono più omicidi e il tasso di criminalità è più elevato.

In un momento in cui la sanità vede anche i propri operatori direttamente colpiti da una escalation di violenza e chiede l'adozione di soluzioni volte a garantire la sicurezza dei medici, riaffermare i valori etici di rispetto e solidarietà domandando una maggiore cautela nell'accesso alle armi da fuoco da parte dei cittadini è un'urgenza non più rinviabile.