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di Carmelo Lopapa


La Repubblica, 22 dicembre 2019

 

Il presepe in una mano, la dava nell'altra, soprattutto contro i giudici. Matteo Salvini battezza così la sua nuova, personalissima Lega. Costruita ad hoc per lanciare la corsa a Palazzo Chigi, sotto gli occhi sconfortati e impotenti di Umberto Bossi, comparso a sorpresa nel salone da 500 posti dell'hotel Da Vinci nell'estrema periferia milanese.

Tre ore e appena 126 delegati possono bastare per scindere le due leghe, la bad company condannata in processo e debitrice dalla "cosa" di Salvíni. Sarebbe il primo partito d'Italia, il salone è per metà vuoto. Il Senatur entra senza preavviso in sala su sedia a rotelle, spinto dalla vecchia guardia, è accolto da una standing ovation.

Salvini gli stringe la mano, non plaude al ruggito del vecchio leone, ma lo abbraccia quando va via. Poi, quando Bossi è già fuori, lo attacca: "Di passato si muore, bisogna guardare avanti". La minoranza di Gianni Fava ha disertato, Roberto Maroni, non pervenuto, ha avvertito attraverso un'intervista alla Stampa che il Nord non rappresentato rischia di dar vita a un soggetto diverso.

La vecchia Lega Nord per l'indipendenza della Padania resta in vita ma, come spiega ai congressisti l'uomo dei cavilli Roberto Calderoli, giusto perché "abbiamo un impegno da rispettare con la procura di Genova".

Appena 49 milioni di euro da restituire allo Stato, come ricordano fuori dall'hotel le poche decine di sardine mobilitate in un flash-mob che è un mezzo flop, complice il maltempo. Dentro, l'approvazione del nuovo statuto è storia di pochi istanti, il tempo di un'alzata di mano, unanimità e via, nel partito del capo funziona così. Del verde Lega old style non c'è più traccia. Sullo sfondo la scritta "Congresso federale" senza nemmeno la parola Lega (per evitare disparità tra vecchia e nuova).

Resta un grande Alberto da Giussano, lo stesso che campeggia in oro sul bavero delle giacche delle decine di parlamentari. Non si vedono più nemmeno le cravatte, color verde. Il logo della Lega "Salvini premier" è SU un blu scuro assai trumpiano. Il governatore Luca Zaia prende la parola per insultare i 5 stelle: "Il Paese non può avere i grillini sulle palle, hanno alimentato odio sociale". Parla e torna in fretta in Emilia l'aspirante governatrice Lucia Borgonzoni.

Prende la parola e quasi uccide il congresso con 30 minuti di sermone il nuovo l'ex ideologo M5s e ora sovranista Paolo Becchi. Quando prende la parola Giancarlo Giorgetti, dopo cotanti relatori, sembra De Gasperi. Ma è l'ex vicepremier a monopolizzare la scena e a trasformare la tribuna nel più personale e autoreferenziale dei comizi (in 45 minuti). Show in chiave anti giudici nel solco del primo Berlusconi "perseguitato" dalle toghe. Chi osa processarlo attenta alla "sovranità nazionale e del popolo: se è così, processateci tutti".

Fa votare per alzata di mano il ricorso all'"autodenuncia di massa" per sequestro di persona se il 20 gennaio in giunta al Senato dovessero davvero votare la sua autorizzazione a procedere. Perché "è vergognoso per un Paese civile processare chi ha difeso i confini". Dunque, "se pensano di impaurirmi con la minaccia del carcere, hanno sbagliato persona".

È la magistratura che non rispetterebbe la separazione dei poteri: "Se qualcuno vuol fare politica, si candidi come sempre col Pd". Poi, anche qui in pieno stile berlusconiano, sferza un secondo attacco, stavolta alla Corte Costituzionale che a metà gennaio si pronuncerà sulla loro richiesta di referendum per abrogare la parte proporzionale del Rosatellum: "Contiamo che i giudici supremi non scippino questo diritto di democrazia al popolo italiano". È un crescendo dai toni a tratti inquietanti, in cui la sua battaglia diventa la battaglia della "libertà contro la dittatura". La Lega, in questa visione onirica, diventa "l'unica ancora di salvezza per il popolo cristiano dell'Occidente". C'è da preoccuparsi? Ma no, rassicura i giornalisti Giorgetti a fine lavori.

"C'è un nuovo conservatorismo occidentale, in stile Trump e Boris Johnson". Prima di chiudere, Salvini trova il tempo per una strigliata contro i troppi "pigri" e gli "assenti" al congresso, forse stanco di fare tutto da solo. E per minacciare un altro colpo alla Costituzione: "Quando torneremo al governo cancelleremo i senatori a vita".

E infine per una nuova convocazione di piazza, il 18 gennaio, a una settimana dalle regionali, stavolta a Maranello, alle porte di casa Ferrari, "tutti vestiti di rosso, per esaltare l'Italia del sì e dell'ingegno". Per adesso stop alla campagna elettorale permanente, giusto perché è Natale. Ai governatori e ai parlamentari il dono di un vino "Sforzato della Valtellina", tra i preferiti del segretario, con tanto di etichetta da lui firmata. Sipario, tutti a casa. La guerra ricomincia a gennaio, dal fronte emiliano.