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di Damiano Aliprandi

 

Il Dubbio, 5 dicembre 2019

 

Giusto premiare il detenuto che collabora, inammissibile punirlo ulteriormente per la mancata collaborazione. Permessi premio agli ergastolani e agli altri detenuti ostativi: le motivazioni della consulta sull'illegittimità costituzionale dell'art. 4bis, comma 1.

Giusto premiare il detenuto che collabora, inammissibile punirlo ulteriormente per la mancata collaborazione.

Questo è il fulcro delle motivazioni della sentenza della Consulta sull'ergastolo ostativo che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4bis, comma 1 dell'ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se vi sono elementi tali da escludere l'attualità della partecipazione al sodalizio criminale e il pericolo di un ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata.

Nelle motivazioni relazionate dal giudice della Corte Costituzionale Nicolò Zanon, viene evidenziato che ovviamente non basta un regolare comportamento carcerario (la cosiddetta "buona condotta") o la mera partecipazione al percorso rieducativo. E tantomeno una semplice dichiarazione di dissociazione. La presunzione di pericolosità - non più assoluta ma relativa - può essere vinta soltanto qualora vi siano elementi capaci di dimostrare il venir meno del vincolo imposto dal sodalizio criminale.

Quindi nessun automatismo come alcuni organi di stampa e taluni magistrati hanno fatto presagire. Per usufruire del permesso premio, non basta solamente avere una buona condotta, ma tanti altri elementi saranno valutati rigorosamente dai magistrati di sorveglianza per concedere o meno tali benefici penitenziari. La Consulta detta anche dei paletti: ovvero che la valutazione in concreto di questi cambiamenti dev'essere svolta sulla base di criteri particolarmente rigorosi, proporzionati alla forza del vincolo criminale di cui si esige dal detenuto il definitivo abbandono. Il magistrato di sorveglianza compirà queste valutazioni non da solo, ma sulla base sia delle relazioni dell'Autorità penitenziaria sia delle dettagliate informazioni acquisite dal competente Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Nelle motivazioni, inoltre, si sottolinea che l'incostituzionalità della norma - derivante dal contrasto con i principi di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena (articoli 3 e 27 della Costituzione) - è stata estesa a tutti i reati compresi nel primo comma dell'articolo 4bis, oltre a quelli di associazione mafiosa e di "contesto mafioso", anche puniti con pena diversa dall'ergastolo ostativo. La Corte precisa che le questioni sollevate non riguardano chi ha subito una condanna a una determinata pena, ma chi ha subito una condanna (nella fattispecie all'ergastolo) per reati cosiddetti ostativi, in particolare di tipo mafioso.

La Consulta sottolinea che se non venisse estesa per tutti gli altri reati ostativi, ne deriverebbe una paradossale disparità di trattamento in danno dei detenuti per i quali possono essere del tutto privi di giustificazione, sia il requisito della collaborazione con la giustizia sia la dimostrazione dell'assenza di legami con un inesistente sodalizio criminale di originaria appartenenza.

In sostanza la presunzione di "pericolosità sociale" del detenuto non collaborante perde il carattere di assolutezza e diventa relativa. Cade quindi l'assolutezza della presunzione che impediva al magistrato di sorveglianza di valutare in concreto il percorso carcerario del singolo condannato, in contrasto con la funzione rieducativa della pena, intesa come recupero del reo alla vita sociale. Infine, la presunzione assoluta si fondava su una generalizzazione a base statistica, cioè sulla probabilità che la mancata collaborazione del detenuto fosse sintomo dell'attualità dei suoi collegamenti con il sodalizio criminale originario. Tuttavia la Consulta specifica che, trattandosi del reato di affiliazione a un'associazione mafiosa (e dei reati ad esso collegati), notoriamente caratterizzato dalla forte intensità del vincolo associativo imposto dal sodalizio criminale, la valutazione in concreto di questi cambiamenti dev'essere svolta sulla base di criteri particolarmente rigorosi, proporzionati alla forza del vincolo criminale di cui si esige dal detenuto il definitivo abbandono. Valutazioni che già sono ben definite.