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di Erilberto Rosso


Il Riformista, 2 dicembre 2019

 

Le ragioni del perché la prescrizione debba continuare ad operare nel nostro sistema sono connaturate ad una concezione del diritto penale liberale. La prescrizione chiama in causa la funzione della pena o per meglio dire la sua concezione finalisticamente orientata anche alla riabilitazione e al reinserimento sociale del reo; è comunque espressione dell'inviolabilità del diritto di difesa avendo a che fare con i ricordi e con la possibilità delle ricostruzioni alternative del fatto, è infine presidio a che una abnorme dilatazione del procedimento prima e del processo dopo, non porti a decisioni in un tempo nel quale l'interesse alla punizione non appartiene più alla comunità.

Ovviamente il momento oltre il quale il processo è deprivato del suo significato sociale muta a seconda della gravità del reato, parametro che definisce l'intensità dell'interesse pubblico alla punizione. Queste sono le idee che appartengono alla comunità dei giuristi, in questi mesi mobilitata contro la legge Bonafede che dal 1 gennaio 2020 abroga la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna che di assoluzione. Lo scenario che si prospetta è quello del processo infinito e dell'imputato costretto in questa sua condizione per un tempo indefinito della sua esistenza. I detrattori di questa cultura giuridica semplicemente praticano una idea vendicativa del diritto penale per la quale al castigo non vi deve essere scampo e solo la pena detentiva è equa riparazione alla lesione del patto sociale.

Costoro, con enfasi, da un lato propinano ricostruzioni secondo le quali il lavoro di Pubblici Ministeri e Giudici si rivela inutile a causa della prescrizione, dall'altro sostengono come non ci siano ragioni di allarme per l'entrata a regime della nuova disciplina poiché la stessa opererà in concreto tra diversi anni, essendo applicabile solo a fatti e procedimenti successivi alla data di operatività della nuova norma. L'assunto è palesemente contraddittorio e comunque sono falsi entrambi i postulati. I processi definiti con sentenza di prescrizione sono in diminuzione, la causa si concentra nel lungo tempo delle investigazioni e dei tempi morti tra una fase processuale e l'altra a riprova del fatto che l'incongruenza sta, per tante ragioni, alcune complesse altre meno, nel troppo tempo utilizzato per giungere all'eventuale esercizio dell'azione penale. L'abolizione della prescrizione dopo il primo grado farà si che da subito - non fra anni - i tempi di investigazione e i calendari di celebrazione dei nuovi processi si spalmeranno sul lungo tempo a disposizione per il primo grado con il risultato che la durata dei processi diverrà abnormemente irragionevole.

Contro la legge Bonafede da lunedì l'avvocatura penale si asterrà dall'attività di udienza per una settimana. È una forma di protesta dura che bloccherà i tribunali italiani - durante la quale comunque la prescrizione sarà sospesa fino alla data delle nuove udienze - per chiedere al Parlamento una decisione semplice: abrogate quella norma e ripristinate così la legalità costituzionale. In quegli stessi giorni terremo una "maratona oratoria", un microfono aperto a Roma in piazza Cavour dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. Prenderanno la parola centinaia e centinaia di avvocati che dalla mattina fino a tarda sera esprimeranno le ragioni della nostra protesta, diranno delle proposte che l'avvocatura ha formulato, anche nelle consultazioni indette dal Ministro Bonafede, per nuove regole, condivise da tutti gli operatori, in grado di incidere sulla durata dei processi al contempo salvaguardando e rafforzando le garanzie difensive. Senza la riforma dei tempi del processo la nuova disciplina avrà l'effetto di "una bomba atomica", più semplicemente manderà in tilt il sistema.

Al realismo di questa constatazione si oppongono indisponibilità anche da parte di forze politiche che hanno votato contro la legge Bonafede ma che oggi, al Governo, non esprimono la determinazione necessaria al suo superamento. Chi vuole mantenere ferma l'abolizione della prescrizione solletica la pancia dell'opinione pubblica con esempi eclatanti. L'ultimo caso è quello della sentenza della Corte di Appello di Firenze che ha preso atto dell'intervenuta prescrizione di una delle imputazioni per le quali vi era stata condanna in primo grado a carico di due imputati per un drammatico fatto occorso nel 2010 in Spagna.

Non si indaga l'eccezionalità del caso che ha previsto necessariamente rogatorie e altre attività, le quali hanno eccezionalmente dilatato i tempi dell'investigazione; non si spiega poi che se la data dell'accadimento fosse stata successiva, il reato non si sarebbe oggi prescritto per gli interventi che si sono succeduti fino alla legge Orlando del 2017, che prevede un recupero dei tempi dei diversi gradi del giudizio. È disciplina che non abbiamo condiviso per l'eccessiva dilatazione, peraltro indistinta, del tempo atto ad estinguere il reato e che necessiterebbe essa stessa di ulteriori regole di assestamento. Quel che è certo è che senza dover ricorrere a norme sciagurate e contrarie alla civiltà giuridica, l'ordinamento già oggi prevede tempi congrui entro i quali è possibile definire le vicende giudiziarie.