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di Vincenzo Iurillo

 

Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2019

 

Nove casi. Cambiano gli equilibri camorristi, ma soprattutto pesa la recente sentenza della Consulta contro l'ergastolo ostativo. Secondo un investigatore è il risultato di due fenomeni in corso: lo smottamento degli equilibri camorristi nel rione delle Case Celesti di Secondigliano, e la recente sentenza della Consulta contro l'impianto dell'ergastolo ostativo, che ha aperto nuovi spiragli a futuri permessi carcerari e sconti di pena.

Ed ecco, forse, spiegato il boom di dissociazioni nel clan degli Scissionisti di Napoli. Almeno nove casi, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano. Alcune pubbliche, perché avvenute in un'aula di Tribunale, altre coperte dal riserbo della Dda che le sta verificando con le cautele del caso. Altre, infine, rivelate in commissione Antimafia, annunciate da lettere con queste date: l'11 giugno ha scritto alla Procura di Napoli Oreste Sparano, il 21 giugno Carmine Amato, il 25 giugno Carmine Pagano, il 18 luglio Carmine Calzone e Ciro Mauriello, il 23 luglio Ciro Caiazza.

L'ultima dissociazione - che si distingue dal pentimento perché non si rendono accuse contro terzi, ma solo contro se stessi - è di pochissimi giorni fa: nel corso del processo con rito abbreviato che lo vede imputato dell'omicidio del 2011 di Ciro Nocerino, Roberto Manganiello ha chiesto scusa ai familiari della vittima e ha affermato di non avere più rapporti con la cosca Marino, di cui era ritenuto il reggente.

Manganiello è già stato condannato in secondo grado a 21 anni - in primo grado gli era stato inflitto l'ergastolo - dopo aver confessato, durante le udienze di Appello, il duplice omicidio di Claudio Salierno e del nipote Fulvio Montanino. I killer agirono nell'ottobre 2004, in via Vicinale di Cupa dell'Arco, nei pressi del bunker di Paolo Di Lauro detto Ciruzzo 'o milionario, il boss che ha ispirato il personaggio di don Pietro Savastano in Gomorra.

Fu il delitto che diede il via alla faida tra il clan Di Lauro e gli Scissionisti. Manganiello non è un camorrista di seconda fila: è il nipote di Gennaro Mc Kay Marino, il capo del clan che ha la sua roccaforte nei 144 appartamenti delle Case Celesti. Per i pm Vincenza Marra e MaurizioDe Marco, Montanino ha retto lefiladellacoscaapartire dal 2012, dopo l'omicidio a Terracina del reggente dell'epoca, il fratello di Gennaro, Gaetano Marino.

Manganiello avrebbe ereditato il comando dal primo marito di Tina Rispoli, la signora che a marzo, con un matrimonio "Casamonica style", si è risposata con il famosissimo neomelodico Tony Colombo. La coppia ormai regina del gossip è stata diverse volte ospite del salotto di Barbara D'Urso e nei giorni scorsi Selvaggia Lucarelli sul Fatto ha ric ordato che questo è avvenuto senza ricordare il contesto criminale in cui nacque la relazione tra Marino e la signora Rispoli (che, va ricordato, è incensurata), e le circostanze che fanno sembrare inverosimile che la signora Rispoli non conoscesse il "lavoro" del marito boss.

Nelle stesse ore della dissociazione di Manganiello, è arrivata la sentenza grazie alla quale Raffaele Amato, altro esponente di spicco della camorra di Secondigliano, ha evitato l'ergastolo ed è stato condannato a "soli" 20 anni in un processo stralcio per l'omicidio Salierno-Montanino. Sconto di pena ottenuto dopo aver scritto una lettera ai giudici in cui ha ammesso di aver saputo dell'agguato mentre s i trovava in Spagna e di non aver fatto nulla per impedirlo. Non è una dissociazione vera e propria. Non ancora.

Qualcosa però bolle da tempo nelle pentole dei piani difensivi di vecchi e nuoviboss di camorra. Da prima della sentenza della Consulta. In un'audizione in Commissione parlamentare antimafia il 24 ottobre, il procuratore capo di Napoli Giovanni Melillo ha fornito dati e circostanze: "C'è una linea di evoluzione della strategia processuale dei gruppi criminali che assume le forme di una simulazione di atteggiamenti collaborativi per contenere le pene", ha avvertito Melillo. Che ha ricordato di aver ricevuto tra il 21 giugno e il 23 luglio "una serie di lettere dei capi del cartello Amato-Pagano che annunciavano volontà collaborative, che poi si sono espresse solo in affermazioni di tipo dissociativo.

È impossibile - è il parere di Melillo - non leggere in questa concentrazione temporale il segno di una strategia di tutto il vertice dell'organizzazione: alcune di queste figure sono oggetto di condanne definitive".

Le direttive della Procura napoletana riflettono un orientamento molto duro verso le dissociazioni: i pm stanno infatti continuando a chiedere gli ergastoli, come nel caso di Manganiello per l'omicidio Nocerino. Vengono ritenute, secondo le nostre informazioni, come un negoziato che ha il solo scopo di abbandonare le falangi militari dei clan per salvaguardarne i vertici, e i loro interessi nella corruzione e nel riciclaggio.

Una posizione netta. Che ovviamente si confronta con quelle opposte del mondo forense. L'ex vicepresidente nazionale della Camera Penale, Domenico Ciruzzi, auspica "che le attenuanti previste dalla dissociazione siano normate anche nei casi di mafie, come già lo sono per il terrorismo, per ridurre la discrezionalità dei magistrati e ribadire che la pena deve rieducare".

Per l'avvocato Alfonso Furgiuele, docente di Procedura Penale della Federico II, "sul piano astratto il doppio binario viola la Costituzione e non può condurre a presunzioni assolute contro il detenuto mafioso. Sul piano concreto, è giustificabile la diffidenza verso le scelte collaborative dei mafiosi, che vanno verificate con rigore".