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Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2019


L'intervento di Maria Falcone, sorella di Giovanni, a sostegno della petizione per una legge che limiti i permessi agli ergastolani ostativi: "Continuità nella lotta alla mafia".

Gentile direttore, non posso nascondere la mia preoccupazione per i potenziali effetti della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la norma dell'ordinamento penitenziario che negava i benefici carcerari agli ergastolani per reati di mafia che non avessero avviato una collaborazione con la giustizia.

Non dimentichiamo che si tratta di una disposizione legislativa introdotta dopo le stragi di Capaci e via D'Amelia, un momento tragico per l'Italia, un Paese che ha dovuto fare i conti con una mafia del tutto peculiare rispetto alle altre organizzazioni criminali.

Non dimentichiamo che in nessun altro Stato tanti uomini delle istituzioni hanno pagato con la vita il loro impegno contro le mafie. Faccio questa premessa per ricordare la ratio e la storia di una norma che, come tutta la legislazione premiale per i cosiddetti pentiti, è servita a scardinare una organizzazione considerata granitica.

Perciò il legislatore aveva dato a chi passava dalla parte dello Stato, ed era realmente intenzionato a recidere i legami con il clan, una chance che potesse garantirgli quella rieducazione prevista dalla Costituzione come doverosa per chiunque. E ciò a differenza del trattamento stabilito per chi ha scelto di rimanere fedele al giuramento prestato per diventare uomo d'onore.

La sentenza della Consulta impone ora una "rivisitazione" normativa. Efondamentale che la Corte costituzionale abbia con la sua pronuncia escluso che si passasse a una sorta di automatismo al contrario, optando invece per l'attribuzione al giudice terzo della valutazione della concessione dei benefici agli ergastolani mafiosi. lo ho piena fiducia nel giudizio dei magistrati che sapranno valutare e scegliere.

Pongo però due temi: quello della possibilità di pensare a concentrare la competenza sulla materia a una sola autorità giudiziaria, come accade già per le questioni relative all'applicazione del 41bis (affidate a un solo organo, il Tribunale di sorveglianza di Roma). Questo consentirebbe di avere un indirizzo giurisprudenziale unitario su argomenti tanto delicati. Inoltre sarebbe auspicabile che a occuparsi di queste questioni sia un organo collegiale e non un giudice monocratico, per evitare sovraesposizioni e possibili pressioni sul singolo.

L'auspicio è che la risposta legislativa, che la decisione della Consulta impone, garantisca una continuità della azione antimafia per scongiurare un pericoloso ritorno al passato. Gran parte della politica, cito per tutti il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, ha manifestato preoccupazione per il dopo sentenza e ha sottolineato la necessità di arrivare a una soluzione legislativa che salvaguardi quanto con fatica si èfatto nella lotta alla mafia, che deve restare una priorità per tutti. Maria Falcone