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di Gian Carlo Caselli

 

Gente, 3 novembre 2019

 

Secondo la Suprema Corte, l'ergastolo "ostativo" per chi non collabora "è incostituzionale". I detenuti non pentiti vanno trattati come gli altri. È corretto? I mafiosi si autoproclamano uomini d'onore perché convinti di essere gli unici veri uomini. Gli esterni sono persone senza identità, da assoggettare e al limite uccidere.

L'essere uomo d'onore cessa solo con la morte e anche se il mafioso si trasferisce in luoghi lontani, e non è più impiegato negli affari della famiglia, deve sempre essere disponibile. Peraltro, lo status perpetuo di mafioso cessa, per forza di cose, in caso di pentimento, cioè di collaborazione con lo Stato.

Di qui occorre partire per riflettere sulla sentenza della Consulta. La pena deve tendere alla rieducazione del condannato. In linea di principio, all'ergastolano si possono concedere alcuni benefici. Ma se il condannato non vuol saperne di rieducarsi perché l'identità mafiosa è incompatibile, allora (è il caso dei mafiosi irriducibili) il discorso è più complesso.

Infatti la Consulta, nell'ammettere gli ergastolani mafiosi non pentiti ai permessi premio, si è spaccata: 8 a 7. La sentenza non introduce alcun automatismo: sarà un giudice a decidere secondo alcuni paletti fissati dalla Consulta.

Ma si tratta di relazioni e pareri formali, se non di facciata. In particolare (senza offesa...) non c'è da scomodare Alice nel paese delle meraviglie per osservare che non è affidabile il mafioso che rivendica di essere stato un detenuto modello: il rispetto formale dei regolamenti carcerari è una regola del codice della mafia.

In ogni caso, è purtroppo facile prevedere che il mafioso non pentito, ammesso ai permessi premio, potrà sfruttare le porte che gli saranno aperte per rientrare nell'organizzazione. Un segnale leggibile come rallentamento dell'antimafia che non ci possiamo permettere: se non peccando di astrattezza.

*Magistrato