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di Marco Mensurati e Fabio Tonacci


La Repubblica, 3 novembre 2019

 

Sar libica all'italiana, atto secondo. Comunque vada a finire la rinegoziazione tra Roma e Tripoli del memorandum di intesa, la commedia dell'esistenza di una reale, efficiente e autonoma zona Search and Rescue (Sar) di competenza della Libia, andrà avanti.

E, con essa, il ruolo occulto di "coordinatore delle operazioni in mare" assunto dalla Marina militare italiana, come dimostrano alcuni documenti visionati da Repubblica e finiti nell'indagine della procura di Agrigento. Dunque, con ordine. Da otto mesi il pm Salvatore Vella sta lavorando al caso della Mare Jonio, il rimorchiatore della piattaforma civica Mediterranea che il 20 marzo ha portato a Lampedusa cinquanta naufraghi recuperati da un gommone al largo della Libia.

Per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina sono indagati il comandante Pietro Marrone e il capo-missione Luca Casarini. Fin qui niente di originale. Tuttavia il pm agrigentino ha allargato l'inchiesta all'intero funzionamento della Sar libica, ottenendo documenti dall'Unhcr e dall'International Maritime Organization (l'ente londinese delle Nazioni Unite che tiene il registro delle zone Sar), e ascoltando gli ufficiali della nave italiana Capri, ormeggiata nel porto di Tripoli nell'ambito della missione Nauras.

Missione che, tra gli obiettivi, ha: supporto sanitario, attività di addestramento, consulenza e assistenza alle forze di sicurezza e istituzioni governative libiche, sostegno a carattere umanitario. Le conversazioni registrate il 18 marzo sul canale vhf 16 tra la Capri e il Centro soccorsi di Roma, però, svelano la vera natura di Nauras. Intorno alle 13 di quel giorno viene segnalata da Moonbird, l'aereo delle ong, la presenza di un gommone in mare. Il capo scelto A., in servizio a Roma, chiama la Capri.

"C'è l'ufficiale libico?", chiede. Gli rispondono che tale Mustapha sta arrivando. Richiama alle 14.02, e questa volta il capo missione Nauras, il comandante L., gli fa sapere che i libici sono in attesa di un cenno da lui per prendersi in carico il soccorso. "Sì, stanno aspettando me perché facciamo... chiudiamo l'evento e lo fanno partire, quindi magari ci aggiorniamo tra cinque minuti, ok?". Infine alle 14.17 il comandante L. conferma a Roma che sta per partire il soccorso ma c'è bisogno di un "aiutino". "Allora - dice L. - vi stiamo mandando il fax, hanno assunto (i libici, ndr) la responsabilità dell'evento, non c'è il numero dell'evento quindi ho messo evento 18 marzo 2019... tra qualche minuto uscirà la motovedetta".

Per gli avvocati di Casarini ce n'è abbastanza per chiedere al pm Vella di approfondire, per capire se la nave Capri "abbia funzionato da distaccamento esterno degli uffici della centrale operativa libica" e se, dunque, il personale militare italiano "abbia svolto ruoli non solo logistici ma decisionali". Non sono dettagli da azzeccagarbugli, perché, se il pm dovesse trovare evidenze, lo Stato italiano potrebbe anche essere accusato di respingimenti collettivi (40 mila migranti riportati in Libia da quando il memorandum è in vigore) e di concorso nelle violenze nei centri di detenzione.

Il memorandum d'intesa sottoscritto nel febbraio 2017 presupponeva la creazione di una zona Sar libica. La Sar è stata effettivamente registrata all'Imo nel giugno 2018, ma rimane un'anomalia mondiale. La Libia è l'unico paese ad averla richiesta pur non avendo porti sicuri, come dimostra la guerra civile in corso e come certifica l'Alto commissariato Onu per i rifugiati. Repubblica ha chiesto conto all'Imo, e la risposta è stata: "Le zone Sar sono dichiarate dai singoli Stati. L'Imo non ha potere autonomo di revoca".

Lo potrebbe fare su richiesta di Stati costieri vicini, ma Italia e Malta si guardano bene dal farla. "Il progetto del Centro soccorsi libico - si legge in un documento dell'Imo - è condotto dalla guardia costiera italiana e finanziato dalla Commissione Europea". È noto che il governo italiano ha anche regalato alla Libia le motovedette, compresa quella usata dagli uomini di Abdul Rahman Milad, più conosciuto col soprannome Bija, capo della guardia costiera di Zawiya e, secondo un report delle Nazioni Unite, trafficante di uomini.

Il report risale al giugno 2017, un mese dopo la visita della delegazione di Tripoli (di cui Bija faceva parte) al Cara di Mineo e al Viminale. Bija poi è stato sospeso dalla Marina libica nel giugno dell'anno seguente, proprio nel momento in cui veniva registrata la Sar. Per almeno un anno, quindi, ha collaborato con gli italiani alla sua realizzazione. Una commedia, appunto. Che il rinnovo del memorandum porterà avanti.