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L'Osservatore Romano, 30 ottobre 2019


Cappellani al fianco dei prigionieri nelle zone di guerra. "Sensibilizzare l'opinione pubblica alla sorte dei detenuti e a una migliore protezione della dignità della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti inalienabili, nel contesto dei conflitti armati": è questo uno degli obiettivi dichiarati che si propone il quinto corso per la formazione dei cappellani militari cattolici al diritto internazionale umanitario, promosso dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, in collaborazione con le Congregazioni per i vescovi e per l'evangelizzazione dei popoli.

Lo ha sottolineato il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero organizzatore, inaugurando i lavori a Roma il 29 ottobre, nel ricordo del suo predecessore, il venerabile Francois-Xavier Nguyèn Van Thuàn che ha vissuto ben 13 anni in carcere in Vietnam. Soffermandosi sul tema del corso, cui partecipano anche diversi ordinari militari, il porporato ha evidenziato come esso intenda "considerare un aspetto particolare della dura realtà dei conflitti armati, cioè la privazione della libertà per le persone che sono interessate da questo dramma e che si trovano pertanto in situazione di vulnerabilità": a cominciare dai detenuti, che possono essere "combattenti caduti nella mani delle forze nemiche", oppure "civili che non di rado sono oggetto di rapimenti, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziarie"; per non tacere poi "dei trattamenti disumani che talvolta colpiscono le minoranze etniche, linguistiche, politiche, culturali e religiose" nelle zone di guerra.

Il pensiero del cardinale Turkson è andato quindi ai luoghi di reclusione, sovente disumani e lesivi "della dignità della persona, in particolare delle donne, dei bambini e degli anziani, che talora sono arrestati sulla base di semplici sospetti", costretti "a condividere uno spazio insufficiente senza badare alle condizioni fisiche, sanitarie e culturali", spesso detenuti a "lungo, senza processo né alcuna assistenza di tipo giuridico o spirituale".

Da qui il richiamo del relatore alla necessità di attuare le Convenzioni - come quelle del 12 agosto 1949, di cui ricorre il settantesimo anniversario - che, "raggiunte con grande sforzo e a caro prezzo, si prefiggono di alleviare le sofferenze causate dall'atrocità della guerra", e la conseguente esortazione rivolta ai cappellani destinatari del corso (che si concluderà giovedì 31) affinché testimonino "con le parole e la vita la sollecitudine della Chiesa e l'amore misericordioso di Dio che non esclude nessuno".

 

Mons. Olivera: "Condizioni di detenzione umane alla base del diritto alla giustizia"

 

"Assicurare condizioni di detenzione umane è una base del diritto alla giustizia. Perché le carceri non diventino mondi di mezzo e scuole di violenza". Lo ha detto mons. Santiago Olivera, ordinario militare in Argentina, intervenendo oggi a Roma al 5° corso internazionale di formazione per cappellani militari cattolici al diritto internazionale umanitario, promosso dallo Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e dalle Congregazioni per i vescovi e per l'evangelizzazione dei popoli. Il vescovo ha indicato i casi di detenzione dei militari in Argentina dopo la dittatura in contrasto con i diritti umani.

"Un ufficiale di marina di 82 anni è stato arrestato nel 2011. Mentre era in carcere è stato insultato e ha sofferto molte privazioni. È stato assolto dopo 8 anni. Un altro è stato arrestato a 65 anni, ha trascorso 6 anni in prigione e poi è stato assolto. Era stato ricoverato anche in una clinica psichiatrica da detenuto. Un miliare è stato arrestato nel 2009 a 81 anni per una presunta partecipazione a una rivolta illegale. È morto in carcere senza essere stato giudicato".

Episodi che, secondo l'ordinario, fanno riflettere sul tempo medio della custodia cautelare. "Nel mio Paese in media è di sei anni. E quando arriva a essere di 10 anni, la detenzione preventiva è una condanna vera e propria". "Il degrado delle persone si verifica spesso perché l'aumento della popolazione carceraria non va di pari passo con l'aumento delle risorse umane ed economiche, ma si poggia su strutture e risorse insufficienti. Si tratta di un grave problema umanitario che condiziona la vita delle persone in carcere".

Di qui l'impegno della Chiesa. "I luoghi di detenzione sono specchio della società e la Chiesa non deve essere estranea da questo mondo. Abbiamo la responsabilità di aiutare i nostri fratelli e sorelle a vivere meglio alla luce del Vangelo. Abbiamo bisogno di ponti che permettano il ripristino dei diritti. La base di uno Stato non deve essere l'odio".