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di Pietro Mecarozzi


linkiesta.it, 26 ottobre 2019

 

Secondo l'ex Ministro del governo Prodi I, nonché presidente della Corte Costituzionale nel 2008, la sentenza della Consulta sul carcere ostativo è "un atto importante nel percorso, per un detenuto che continua ad avere una decenza riconosciuta e rispettata, anche nel peggiore delinquente". Come seguito della Corte Europea dei Diritti Umani, la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che riguarda l'ergastolo ostativo.

La modalità di pena perpetua che sottrae alla concessione di ogni beneficio di legge, se non nel caso di una collaborazione con i magistrati, il condannato per associazione a delinquere o concorso a vario titolo in omicidio, dall'esecutore materiale all'ultimo favoreggiatore, è stata parzialmente definita incostituzionale.

Tra i dubbi per una misura che coinvolge ex boss mafiosi e terroristi, il perno della questione per Giovanni Maria Flick, ex Ministro del governo Prodi I nonché presidente della Corte Costituzionale nel 2008, sta nell'attenzione rivolta al "detenuto che continua ad avere una dignità riconosciuta e rispettata, anche nel peggiore delinquente".

 

Come considera la sentenza della consulta sul carcere ostativo?

La considero un atto importante nel percorso per ricondurre le misure contro la criminalità organizzata alle indicazione di carattere costituzionale, superando un'eccezionalità che lascia perplessi.

 

Non c'è il rischio di aprire le porte del carcere indiscriminatamente per mafiosi e terroristi?

Non mi pare che ci sia alcun rischio di questo genere. La sentenza non sancisce il diritto, dei condannati per criminalità organizzata a godere delle misure alternative, bensì essa ricorda che la decisione sulla esistenza dei requisiti per accedere alle misure alternative spetta, in concreto, al giudice di sorveglianza caso per caso. Non può essere una valutazione di carattere generale fatta dalla legge in termini di automatismo: il condannato dovrà fare richiesta al giudice, dimostrando che non ha più alcun legame con la criminalità organizzata e che ha avviato il suo processo di rieducazione positivamente.

 

Ridare discrezionalità ai giudici di sorveglianza non li espone a un rischio di minacce?

Il compito del giudice è quello di decidere: nella decisione si può sempre incontrare qualche rischio, che va eliminato proteggendo il giudice quando sia necessario, attraverso la tutela. D'altra parte il principio del riconoscere al giudice il potere e il dovere di valutare il caso concreto è un discorso talmente ovvio ed evidente che faccio fatica a comprendere come si possa da esso far derivare i timori di un pericolo. Tanto più che la decisione del giudice di sorveglianza non è isolata, bensì è il momento terminale di un processo di valutazione fatte da più uffici (polizia, procuratore antimafia, operatori sociali, responsabili del carcere).

 

Esclude un pericolo di distorsione?

È previsto dalle legge che si possano richiedere le misure alternative a certe condizioni; quelle condizioni sono valutate alle luce degli elementi acquisiti con un'istruttoria su quella persona e su quella posizione. Non è conforme alla Costituzione escludere automaticamente la richiedibilità e la concedibilità di tali misure quando il richiedente non collabora con l'autorità giudiziaria.

 

Le nostre leggi contro la mafia sono in linea con i principi costituzionale e dei diritti dell'uomo?

Il contrasto alla criminalità organizzata è doveroso e va fatto con ogni mezzo compatibile con la Costituzione. Non va dimenticata però la necessità del rispetto della dignità umana, anche di coloro che si sono comportati in modo tale da far pensare che abbiano rinunziato a quest'ultima. Non è così, il detenuto continua ad avere una dignità che deve essere riconosciuta e rispettata, anche nel peggiore delinquente. Questo presupposto non esclude la pena, la quale, tuttavia, non deve essere contraria al senso di umanità e deve tendere comunque alla rieducazione del condannato, come afferma l'art. 27 della Costituzione.

 

Parafrasando Cesare Beccaria: "Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse"...

Sempre in tema di criminalità organizzata, ci sono state alcune deroghe o alcune posizioni particolarmente repressive, che tutt'ora vengono esaminate dalla Corte Costituzionale, per garantire che non ci sia un "diritto speciale del nemico" verso questi tipi di reato.

 

Con quest'ultima sentenza, il nostro sistema penale si abbassa ai voleri europei?

Noi siamo vincolati per scelta della Costituzione ad attuare quella parte dell'ordinamento europeo, rappresentata dall'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi al rispetto dell'umanità delle pene ed alla tendenza alla rieducazione. Una pena nella quale venga negata la speranza di poter recuperare la libertà se il condannato ne è degno alla fine del percorso rieducativo è una pena in contrasto e con la Convenzione di Strasburgo, e con la nostra Costituzione.