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di Giovanni Bianconi

 

Corriere della Sera, 24 ottobre 2019

 

Tra i giudici 8 favorevoli e 7 contrari. Le tre condizioni stabilite. La sentenza "è una breccia nel muro di cinta del fine pena mai", affermano soddisfatti i dirigenti dell'associazione Nessuno tocchi Caino. E in effetti di breccia si tratta. Uno spiraglio.

Perché pur dichiarando incostituzionale l'automatismo tra mancata collaborazione con i magistrati e impossibilità di accedere ai permessi-premio per uscire di prigione qualche ora o qualche giorno, i 15 "giudici delle leggi" non ne hanno stabiliti altri per cui a ogni eventuale domanda corrisponderà una concessione.

Anzi: hanno introdotto esplicite e stringenti condizioni all'esito di una discussione in camera di consiglio approfondita e non semplice. Conclusa con una decisione presa con un solo voto di scarto: 8 favorevoli e 7 contrari. Questi ultimi espressi da chi si preoccupava di non intaccare le scelte di politica criminale compiute dopo le stragi del 1992.

Come ricordato dall'Avvocatura dello Stato che chiedeva di rigettare le eccezioni di incostituzionalità, la norma sotto esame serviva ad aumentare la sicurezza della collettività perché era un incentivo ai "pentimenti" utili a combattere le mafie. Ed era stata inserita nell'ordinamento per impedire anche solo il tentativo di boss e gregari di tornare a dare manforte alle organizzazioni criminali.

Dunque una misura eccezionale per fronteggiare una situazione eccezionale (la presenza delle organizzazioni criminali), sebbene poi il divieto dei permessi a chi non collabora sia stato esteso ad altri reati slegati dalla mafia.

Alla fine ha prevalso però l'idea che il silenzio con i magistrati (che può derivare da ragioni diverse dal continuare ad essere un affiliato ai clan) non possa essere l'unico indce per valutare la presunta pericolosità sociale del condannato.

D'ora in avanti i giudici potranno così valutare il grado di risocializzazione del condannato "non collaborante", verificando però almeno tre condizioni che fanno da contrappeso all'abolizione della "presunta pericolosità assoluta": la "piena prova di partecipazione" al percorso rieducativo durante la detenzione; l'acquisizione di elementi concreti per escludere "l'attualità della partecipazione all'associazione criminale"; la mancanza del "pericolo del ripristino" di quei collegamenti. Un tentativo di bilanciamento di interessi contrapposti (individuali e collettivi) per una decisione faticosa e contrastata.