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di Liana Milella

 

La Repubblica, 24 ottobre 2019

 

Berlusconi: "È giusto". Salvini: "È indegno". Zingaretti: "Scelta stravagante". È contro la Costituzione negare per legge permessi premio al detenuto, anche mafioso, che abbia tagliato definitivamente i rapporti con l'organizzazione criminale e si sia comportato bene in carcere.

La Consulta, inevitabilmente tra le polemiche, boccia tifi - pezzo dell'articolo 4bis dell'ordinamento penitenziario. Cancella il no automatico, dà potere ai magistrati di sorveglianza che dovranno valutare caso per caso.

E dà ragione a due mafiosi all'ergastolo, Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone, accogliendo i ricorsi della Cassazione e del tribunale di Perugia. Non cancella l'ergastolo ostativo, come aveva fatto, appena dieci giorni fa, la Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Ma allarma e divide i magistrati antimafia, Nino Di Matteo per il no, Armando Spataro per il sì; conquista il consenso delle organizzazioni come "Nessuno tocchi Caino" e "Antigone", che da sempre si battono per un carcere dal volto umano.

Ma soprattutto la Corte rivoluziona l'agenda del governo, tant'è che il Guardasigilli Alfonso Bonafede parla di "massima" priorità e mette al lavoro i suoi uffici. Il centrodestra si spacca, per un Berlusconi che vede una "decisione giusta", all'opposto c'è Salvini che la giudica "indegna", mentre per il segretario dem Zingaretti "la sentenza è stravagante".

Al presidente dell'Antimafia Nicola Morra parla di "sconfitta" perché la mafia "merita un doppio binario e una legislazione del tutto eccezionale". Martedì l'udienza pubblica. Ieri la decisione. Quattro ore di discussione in camera di consiglio dopo la relazione di Nicolò Zanon. La Corte che da oltre un anno viaggia nelle carceri e parla della Costituzione come di "uno scudo anche per i detenuti" si misura con una questione estremamente calda e divisiva, che riguarda solo i permessi premio. Di mezzo non ci sono ergastolo e liberazione anticipata, ma solo la possibilità di concedere permessi a chi "non collabora" con la giustizia.

Qui cade l'automatismo. Come scrive la stessa Corte, i non pentiti potranno ottenere permessi se i magistrati di sorveglianza verificheranno che non ci sono più rapporti con la mafia di origine e che c'è un percorso rieducativo. Non è certo la sentenza di Strasburgo, quel "no" al carcere senza speranza in generale, né il no a una detenzione "inumana e degradante". È solo un sì ai permessi premio sganciati dall'obbligo di pentirsi dell'articolo 4bis.

Ma è un passo che scatena allarme tra le toghe. Di Matteo teme il rischio che "si concretizzi l'obiettivo della mafia stragista con gli attentati del 1992-1994" perché la sentenza "apre un varco pericoloso", e afferma che la politica deve "reagire subito per evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente a mafiosi e terroristi all'ergastolo".

Quei 1.250 che vivono nelle patrie galere. Sebastiano Ardita, oggi al Csm con Davigo, ma per anni al Dap e in procure di frontiera come Catania e Messina, immagina "una prevedibile pressione dei mafiosi sui magistrati di sorveglianza". Lo stesso dicono Leonardo Agueci e Alfonso Sabella, che suggerisce di affidare la decisione sui permessi a tribunali di sorveglianza, anziché a singoli giudici che inevitabilmente sono più esposti.