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di Nicola Pinna

 

La Stampa, 24 ottobre 2019

 

Parla l'ergastolano che si è appellato alla Consulta. L'ultima volta che Sebastiano Cannizzaro è uscito dalla cella era l'estate del 2007. Una scarcerazione e poi qualche mese di latitanza. Dal giorno della cattura e del ritorno in carcere, ha rivolto lo sguardo verso lo stesso soffitto ma con compagni di stanza spesso diversi e che nel frattempo sono tornati in libertà.

Per lui i tribunali hanno deciso l'ergastolo ostativo. Fino alla fine degli Anni 90, secondo diverse inchieste antimafia, Sebastiano Cannizzaro era il leader del clan Santapaola e l'uomo di Cosa Nostra nel Catanese. Nella guerra di mafia del 1998, secondo i magistrati era stato il mandante di almeno due omicidi. Lui si è sempre proclamato innocente e a 65 anni ha vinto una battaglia legale di cui beneficeranno tutti gli esponenti della criminalità organizzata.

Nel carcere di Sulmona ieri ha atteso la chiamata dell'avvocato Valerio Vianello, che per lui ha presentato il ricorso alla Corte costituzionale. Attraverso il legale risponde alle domande.

 

Cosa vorrebbe fare durante i permessi per cui ha combattuto?

"Vorrei stare con la mia famiglia, trascorrere qualche giorno con mia moglie, mia figlia e i miei due nipotini. Credo sia un diritto anche per un uomo che deve scontare una pena".

 

La Corte costituzionale ha accolto il suo ricorso. Lei ritiene di poter essere considerato non più pericoloso?

"Non lo sono mai stato, ho chiesto anche la revisione del processo e ho tentato in ogni modo di dimostrare la mia estraneità alle accuse che mi sono state mosse. Dopo tanti anni di carcere, tra l'altro, che pericolo sarei? Ho perso i contatti persino con i miei compaesani".

 

Quando è uscito l'ultima volta dal carcere?

"Sono stato scarcerato nel 2007 per un problema di termini della custodia cautelare. Da allora nulla".

 

Cosa vuol dire vivere in carcere senza avere la possibilità di uscire e di ottenere degli sconti?

"Io a questa condizione non mi sono mai arreso. Ho provato prima ad ottenere la revisione del processo e poi con questo ricorso pur di ottenere i benefici. È importante combattere anche per pochi giorni di libertà".

 

Perché non ha collaborato?

"Sono accusato di omicidio ma non ho mai ucciso nessuno. È scritto anche nelle sentenze. Dunque cosa avrei potuto raccontare? Avrei dovuto dire bugie per ottenere i benefici?".

 

È possibile che un condannato per reati mafiosi e che non ha collaborato con la giustizia possa fare un percorso rieducativo?

"Nelle carceri ci sono tanti buoni esempi: persone con un passato complicato che hanno cambiato vita. Chiunque ha la possibilità di riprendere un percorso di rieducazione. Non solo la possibilità, direi il diritto".

 

C'è qualche altra battaglia che i detenuti per questo tipo di reati sentono di dover combattere?

"L'aspirazione di tutti era quella di avere i benefici. I premi sembrano poca cosa, ma significano qualche giorno di libertà".