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di Paolo Siani


La Repubblica, 11 ottobre 2019

 

La Corte europea ha invitato l'Italia a rivedere la sua legge sull'ergastolo ostativo: interviene il fratello del giornalista ucciso dalla camorra.

I detenuti nelle carceri in Italia sono 60.894, di cui 36.903 "definitivi". I carcerati condannati all'ergastolo, su cui non pende alcun altro giudizio definitivo, sono 1.633: di questi 1.106 sono ergastolani "ostativi", ai sensi dell'articolo 4bis dell'ordinamento penitenziario. Gli ergastolani definitivi con l'associazione di tipo mafioso sono 944, quelli ai quali è applicato anche il 41 bis sono 101 in carcere da oltre 20 anni e 55 in carcere da oltre 25 anni. Sono dati aggiornati ad oggi del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia.

Fatta questa premessa, va detto che la Grande Camera della Corte Europea dei diritti umani ha invitato l'Italia a rivedere la sua legge che prevede il cosiddetto ergastolo ostativo, una pena senza fine prevista nell'ordinamento penitenziario italiano che "osta" a qualsiasi sua modificazione: non può cioè essere né abbreviata né convertita in pene alternative, a meno che la persona detenuta decida di collaborare con la giustizia. In altre parole, è il carcere per sempre e il detenuto non può avere permessi premio o misure alternative al carcere.

Questa sentenza adesso potrebbe influenzare la situazione di 944 ergastolani definitivi con l'associazione di tipo mafioso. È vero che il carcere ha anche la finalità di rieducare e la pena dell'ergastolo lo esclude, ma è anche vero che la rieducazione ha bisogno della volontà del soggetto a farsi rieducare e quindi ad allontanarsi con convinzione dal mondo mafioso, che non vuol dire solo pentimento ma molto di più. Vuol dire per esempio fare in modo che i suoi figli, la moglie, i parenti si dissocino dal mondo mafioso in maniera chiara e inequivocabile. Questo invece non sempre accade.

Anzi, sono proprio le mogli o i figli a prendere il posto del boss in carcere e a continuare le loro illecite attività. Ci vuole, ora, una soluzione legislativa che non renda vani anni di lotta alle mafie e che sappia contemperare i diritti con la sicurezza dei cittadini. E sappia continuare a tener ben presente la singolarità della criminalità organizzata in Italia, che in questi anni ha causato migliaia di morti, terrorizzato intere città e condizionato la vita di milioni di persone.

Allora il legislatore tenga presente la storia delle organizzazioni mafiose e soprattutto il dolore di tutti i familiari delle vittime innocenti delle mafie. Perché, se è vero che la sofferenza dei colpevoli non allevia il dolore delle vittime, è altrettanto vero che troppo spesso i familiari delle vittime sono lasciati soli dallo Stato, e, molto spesso, non trovano quel necessario sostegno per continuare a vivere e dare una speranza ai loro figli.

Loro, i familiari delle vittime, non hanno nulla, ma proprio nulla da farsi perdonare. E invece si continua ad affrontare questo complesso e articolato tema soprattutto sul versante dei carnefici e in maniera non ancora efficace dall'ottica delle vittime. Il caso della strage del Rapido 904, una delle pagine più buie della storia della Repubblica, il cui processo si è estinto con la morte del boss Riina, ne è una chiara e ulteriore testimonianza. Ci sarà mai giustizia per i familiari delle 16 vittime e dei 267 feriti di quella efferata strage?

Se per giunta il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, per anni in prima linea nel contrasto alle mafie in contesti territoriali di particolare delicatezza, afferma che si rischia un ritorno al passato facendo un passo indietro nella lotta alle organizzazioni criminali, c'è da essere molto preoccupati.

I dati illustrati all'inizio di questa riflessione danno contezza di quanto grave sia ancora la piaga della criminalità organizzata in Italia. E allora, con uno sguardo rivolto al futuro, si decida, una volta per tutte, di spezzare quei meccanismi che consentono alle mafie di riprodursi socialmente. Occorre, innanzitutto, non lasciare crescere i bambini in quartieri malavitosi senza provvedere a politiche educative e di sostegno alle famiglie. La vera lotta alle mafie comincia esattamente da qui.