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di Gigi Di Fiore

 

Il Mattino, 10 ottobre 2019

 

"Ho perso mio padre per decisione di Cutolo. Ai mafiosi è già data la possibilità di pentirsi". Da quell'undici dicembre del 1980 sono passati 39 anni, ma la ferita aperta in lei da quel dolore non si è mai sanata.

Quel giorno, Annamaria Torre perse il padre, l'avvocato Marcello sindaco di Pagani, ucciso da due killer della Nuova camorra organizzata cutoliana. L'agguato mortale fu un avvertimento preventivo della Nco, in vista della gestione dei fondi del dopo-terremoto. Per quell'omicidio, è stato condannato all'ergastolo Raffaele Cutolo ritenuto il mandante della spedizione di morte. Uno degli esecutori, Francesco Petrosino, condannato a sedici anni, è diventato collaboratore di giustizia.

 

Annamaria, che cosa ha pensato alla notizia della sentenza decisa dalla Grande Camera di Strasburgo?

"Ho percepito quel provvedimento come un attacco al nostro dolore, un successo dei mafiosi in carcere, che da anni tentano di modificare quell'articolo delle norme antimafia che subordina la fine dell'ergastolo che stanno scontando alla loro collaborazione con la giustizia".

 

È toccata personalmente da questa decisione, perché anche Raffaele Cutolo potrebbe presentare ricorso puntando alla scarcerazione?

"Cutolo è stato riconosciuto definitivamente nel 2002 mandante dell'omicidio di mio padre, ma la sentenza di Strasburgo non colpisce me, ma tutto il sistema di contrasto alle mafie. Le singole posizioni dei mafiosi che presenteranno ricorso contro l'ergastolo ostativo dovranno essere valutate dai giudici di sorveglianza. Potrebbero essere in molti a beneficiare di un'interpretazione meno rigida della legge antimafia".

 

Anche lei pensa che si rischia di depotenziare le armi giuridiche in possesso dei magistrati contro le mafie?

"Sì, l'ergastolo ostativo è stata un'arma importante in questi anni. È storia criminale, che coinvolge lutti e dolori di intere famiglie. E poi, come ha ricordato don Tonino Palmese presidente di Polis, i mafiosi hanno una strada per evitare il fine pena mai".

 

Allude alla collaborazione con la giustizia?

"Certamente, è la scelta prevista dalla legge. Una scelta fatta da molti, che ha permesso di sgominare interi gruppi mafiosi. Confido sempre che, anche dopo la decisione di Strasburgo, si mantenga il rispetto di una giurisdizione che non ignori le vittime delle mafie".

 

Molti giuristi sostengono che questa norma sia anticostituzionale perché non rispetta il principio della rieducazione della pena. Cosa ne pensa?

"So che con questa tesi giuridica concordano molte associazioni impegnate a migliorare le condizioni carcerarie. Le rispetto, ma dico anche che non si può azzerare tutto, cancellando con un colpo di spugna la violenza delle mafie. E, lo dico ancora una volta, faccio un ragionamento generale anche se parto dalla mia esperienza di dolore personale. È una questione di giustizia, in un sistema giurisdizionale che aveva voluto anche Falcone".

 

Pensa che le norme antimafia italiane non abbiano bisogno di correttivi?

"Sono convinta che le norme antimafia italiane siano tra le migliori del mondo, apprezzate da tanti altri Paesi. Vedo pericoli nella decisione di Strasburgo e, su questo, concordo con il presidente della commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra".

 

Insomma niente modifica del fine pena mai per i mafiosi?

"I mafiosi, se lo vogliono, hanno la strada della collaborazione con la giustizia per evitare di restare in carcere per sempre. La strada c'è ed era stata individuata dall'approvazione delle norme. Una strada che ha aiutato in tutti questi anni le indagini sui gruppi mafiosi".