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di Giovanni Bianconi

 

Corriere della Sera, 9 ottobre 2019

 

Nessun automatismo per i giudici di sorveglianza. Marcello Viola, il pluriergastolano 'ndranghetista che aveva presentato il ricorso a Strasburgo, tornerà davanti al tribunale di sorveglianza dell'Aquila, città nella quale è detenuto, per vedersi applicare i permessi-premio e la liberazione condizionale che in passato gli erano stati negati.

Gli altri condannati che si sono rivolti alla Corte europea - dovrebbero essere una ventina, ma non c'è un dato preciso - potranno fare altrettanto in attesa che i giudici europei decidano di applicare anche a loro i principi sanciti con la sentenza ribadita ieri. Ma il "popolo dell'ergastolo ostativo", che in teoria potrebbe cominciare a chiedere le misure alternative alla reclusione senza spiragli, ammonta a 1.106 persone (su un totale di 1.633 ergastolani definitivi); più della metà dei quali (628) rinchiusi da oltre vent'anni e 375 da più di 25. La gran parte sono accusati di associazione mafiosa; gli altri per omicidi o sequestri di persona aggravati da favoreggiamento dalla mafia, terrorismo, tratta di esseri umani, traffico di droga, pedopornografia e altri reati gravi. Nomi noti e meno noti: dal boss Leoluca Bagarella a Giovanni Riina, da Francesco "Sandokan" Schiavone a Michele Zagaria, fino alla neo-brigatista Nadia Lioce.

In ogni caso, per loro non si apriranno indiscriminatamente le porte del carcere. In primo luogo perché - come spiega l'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, che ha contribuito al ricorso di Viola a Strasburgo - "non ci sono automatismi", sebbene "lo Stato italiano abbia il dovere di rivedere la norma". Pena il pagamento di multe, prevede il costituzionalista Alfonso Celotto.

Tuttavia, ammesso che l'Italia cancellasse subito la preclusione dei benefici penitenziari agli ergastolani condannati per quel gruppo di reati, sarebbero comunque i giudici di sorveglianza a decidere l'ammissione dei detenuti ai permessi o alle altre misure, valutando ogni volta le singole situazioni, dalla "pericolosità sociale" al "ravvedimento". E la vicenda del pentito Giovanni Brusca, il killer di mafia che in quanto pentito non è un ergastolano e dunque già gode di attenuazioni alla detenzione pura e semplice, dimostra che possono essere molto rigorosi.

Ma a prescindere dalla Corte europea e da ciò che sceglieranno di fare governo e Parlamento, ad avere un effetto diretto sulla legislazione italiana sarà la decisione che dovrà prendere la Corte costituzionale dopo l'udienza del prossimo 22 ottobre.

Quel giorno si discuteranno due eccezioni di incostituzionalità che ricalcano in buona parte la questione affrontata a Strasburgo. Due diverse ordinanze della Cassazione e del tribunale di sorveglianza di Perugia, infatti, hanno sollevato un dubbio che si sovrappone al "caso Viola": il fatto che, come previsto dall'attuale articolo 4bis dell'ordinamento penitenziario, solo la collaborazione del condannato con i magistrati possa essere considerato il metro per non considerarlo più un pericolo per la società esterna, e quindi ammetterlo alla richiesta di misure alternative.

Con questa norma, sostiene chi s'è rivolto alla Consulta, i giudici di sorveglianza non hanno la possibilità di valutare l'evoluzione del condannato verso quel reinserimento sociale che l'articolo 27 della Costituzione fissa come obiettivo della pena. Che deve valere per tutti. E proprio i permessi premio e le altre possibilità di uscire gradualmente dal carcere consentono di progredire su quel percorso che poi dev'essere valutato dalla magistratura.

Con questi presupposti, l'esclusione automatica dei benefici per chi non collabora sarebbe in contrasto con la legge fondamentale della Repubblica. In più, la Cassazione pone un altro dubbio: che sia legittimo equiparare, tagliando fuori dall'accesso ai benefici entrambe le categorie, gli affiliati all'associazione mafiosa con chi è stato condannato ad altri reati con l'aggravante del favoreggiamento alla mafia o del "metodo mafioso".

Sebbene nelle eccezioni sollevate davanti alla Consulta non se ne facesse cenno perché precedenti alle decisioni della Corte europea, è presumibile che i giudici costituzionali tengano in considerazione anche del verdetto di Strasburgo. E la loro sentenza avrà conseguenze immediate. In un senso o nell'altro.