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di Diego Motta


Avvenire, 9 ottobre 2019

 

Per il professore di Diritto penale dell'Università Cattolica, "il recepimento di questa sentenza non comporta affatto la scarcerazione automatica. Toccherà poi al Tribunale di sorveglianza".

Grazie alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, sarà possibile per un giudice tornare a esprimersi sui possibili percorsi di "redenzione" e reinserimento sociale dei criminali più pericolosi. Non ci sarà più la parola "mai" dopo il fine pena. Quanto al pericolo sicurezza, spiega Luciano Eusebi, professore ordinario di Diritto penale all'Università Cattolica di Milano, "non assisteremo affatto alla liberazione automatica di determinati reclusi".

Semmai, siamo di fronte alla possibilità di ripensare a un modello che davvero garantisca una possibilità a tutti, nonostante le gravi efferatezze commesse. "Recuperare il detenuto contribuisce alla prevenzione. Una società è giusta e ha futuro solo se sa esprimere anche attraverso i criteri delle sue sanzioni valori antitetici a quelli della prevaricazione e della violenza" spiega Eusebi.

 

Professor Eusebi, cosa cambia allora per l'Italia dopo il pronunciamento arrivato dalla Corte di Strasburgo?

La sentenza giudica incompatibile col divieto di trattamenti inumani e degradanti previsto dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la presunzione assoluta di non rieducazione dei detenuti per reati cosiddetti ostativi (quelli previsti dall'articolo 4bis primo comma dell'ordinamento penitenziario) ove non collaborino con la giustizia: nel caso in cui, cioè, sebbene a distanza di molti anni dal reato commesso, non offrano un contributo ancora utile alle esigenze investigative. La conseguenza è l'inapplicabilità di qualsiasi profilo di diversificazione delle modalità esecutive della condanna, come pure di una possibile liberazione condizionale. Il che ha reintrodotto di fatto l'ergastolo senza speranza, ove non vi sia collaborazione, per quasi i tre quarti dei più di 1.700 condannati a tale pena, in quanto autori dei reati cosiddetti ostativi.

 

Quali effetti potranno esserci per i detenuti sottoposti al 41bis?

Il recepimento di questa sentenza non comporta affatto la scarcerazione automatica. Resta comunque necessaria la prova del venir meno di qualsiasi collegamento con la criminalità organizzata. In realtà, quanto stabilito dalla Corte restituisce, piuttosto, al Tribunale di sorveglianza il giudizio sul percorso rieducativo che abbia compiuto lo stesso detenuto che ha deciso di non collaborare.

 

Quali sono di solito i motivi che spingono un ergastolano a non pentirsi?

Chi non collabora può avere motivi diversi, come l'esigenza di non esporre a gravi ritorsioni i propri familiari. Altri non vogliono barattare la loro libertà con la possibile reclusione di persone a loro sottoposte in passato, che magari da tanti anni non delinquono. Ciò detto, anche la collaborazione può non essere affatto sintomo di un'effettiva rieducazione. Sia la Corte europea che la Corte costituzionale italiana ritengono che l'ergastolo resti compatibile con i principi, rispettivamente, della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e della nostra legge fondamentale solo se risulti prevista a distanza di tempo (non più 25 anni) una valutazione del percorso rieducativo effettuato, e la scarcerazione in caso di esito positivo.

 

Quale scenario si apre adesso?

La Corte europea ha respinto, ieri, l'istanza di rinvio del giudizio, già assunto da una sezione della medesima, alla valutazione della sua Grande Chambre, per cui quel giudizio è divenuto definitivo. Ora esso potrà essere direttamente utilizzato dai giudici italiani in sede interpretativa delle norme vigenti oppure, se ciò non sarà ritenuto possibile, potrà condurre a un giudizio di incostituzionalità delle medesime norme per violazione dell'articolo 117 della Costituzione, che vincola al rispetto, salve incompatibilità con la Costituzione stessa, al rispetto degli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese.

 

Il superamento dell'ergastolo ostativo in realtà era già stato oggetto di studio da parte del mondo giuridico...

Sì. Era accaduto nel 2014: la Commissione ministeriale Palazzo, di riforma del sistema sanzionatorio penale, comprendeva oltre a docenti universitari e alcuni avvocati, anche autorevolissimi magistrati. In ogni caso la stessa Corte costituzionale si pronuncerà il prossimo 22 ottobre su un caso di preclusione dell'accesso al primo provvedimento di un eventuale percorso risocializzativo, costituito da un "permesso", sempre relativamente a un reato ostativo.

 

Come spiegare, in tempi di rancore diffuso, all'opinione pubblica la necessità e l'importanza di percorsi di recupero anche per chi si è macchiato delle colpe più atroci?

Bisogna spiegare che agire per il recupero e la responsabilizzazione dei condannati risulta nell'interesse generale della prevenzione e dell'intera società. Nulla è temuto maggiormente dalle stesse organizzazioni criminali di quanto non lo sia la defezione da parte dei suoi stessi membri, dato l'effetto destabilizzante ed emulativo che ciò può produrre. Nulla, in altre parole, rafforza maggiormente la legalità del fatto che proprio chi abbia commesso reati riconosca fattivamente le ragioni della legge e sappia reimpostare la sua vita futura. Ma laddove, fin dall'inizio, venga preclusa ogni speranza per certi condannati, specie per i più giovani, la comunità sociale perde chance di prevenzione fondamentali. Papa Francesco ha ricordato che "non bisogna mai privare le persone del diritto di ricominciare".

 

Non si dovrebbe partire anche dalla sfida di rendere più umano il carcere?

Papa Francesco opportunamente rimarca che una società è giusta e ha futuro solo se sa esprimere anche attraverso i criteri delle sue sanzioni valori antitetici a quelli della prevaricazione e della violenza. Il diritto non costruisce in base a logiche di ritorsione, ma - fermo restando il contrasto degli apparati criminosi e dei profitti illeciti connessi - attraverso la sua capacità di motivare, e di conseguire consenso anche da parte di chi ha pur gravemente violato la legge, al rispetto dei precetti normativi.