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di Liana Milella


La Repubblica, 9 ottobre 2019

 

"A seguire alla lettera la decisione della Cedu si rischia di tornare a prima di Falcone". Dice così Roberto Tartaglia, ex pm a Palermo, nel pool del processo trattativa Stato-mafia, oggi consulente della commissione Antimafia, in pole per succedere al posto di Raffaele Cantone alla presidenza dell'Anac.

 

Si può superare l'ergastolo ostativo?

"Oggi non possiamo permetterci di rinunciare a quelle norme e di avviare un processo di sgretolamento del regime del "doppio binario", cioè la disciplina differenziata per soggetti che, come gli affiliati mafiosi, appartengono a un circuito criminale che, sul piano sociologico, criminologico e culturale, è obiettivamente e innegabilmente differente da tutti gli altri contesti malavitosi".

 

Eppure molti garantisti sostengono l'esatto contrario...

"Invece è un dato innegabile che non dobbiamo assolutamente dimenticare, ricordandoci sempre le lapidarie parole di Giovanni Falcone, di fatto l'iniziatore del regime del doppio binario. Proprio lui, in un bellissimo articolo del 1989, non a caso intitolato "La mafia tra criminalità e cultura", scriveva che "ritenere la mafia una pura organizzazione criminosa avente come unico scopo la ricerca di lucro è un enorme errore di prospettiva, che rischia di far impostare male le stesse strategie repressive".

 

A prendere alla lettera la Cedu si rischia di tornare a prima di Falcone?

"Certamente. Perché non si può negare che questa disciplina "differenziata" per i mafiosi, soprattutto sul versante carcerario, ha contribuito a dare un grande sostegno allo strumento preziosissimo delle collaborazioni con la giustizia, senza il quale, piaccia o non piaccia, l'azione repressiva, e talora anche quella preventiva, in materia antimafia non potrebbe certamente essere più la stessa".

 

Cosa devono fare governo e Parlamento?

"Un fatto è certo: la sentenza sembra difficilmente superabile e rischia di far proliferare il numero dei ricorsi di detenuti mafiosi oggi all'ergastolo. L'unica strada è attingere all'eccellente cultura giuridica che per tradizione l'Italia detiene. Occorre prestare molta attenzione a tutte le pronunce che la Consulta ha emesso nel corso degli anni per rendere compatibile il "doppio binario" con i fondamentali principi della Costituzione sull'uguaglianza e la finalità rieducativa della pena".

 

Vede? Anche lei sostiene che qualcosa si può cambiare nel "fine pena mai"...

"Stiamo parlando di principi della cultura liberale italiana che sappiamo benissimo come maneggiare e come bilanciare con l'esigenza, davvero ineliminabile, di un'azione antimafia efficace e incisiva. Possiamo dire che la Consulta ha già trasformato negli anni alcune delle "presunzioni assolute" inizialmente previste in materia di mafia (quelle che non ammettono mai di essere superate, perché non riconoscono la prova contraria),in presunzioni solo "relative" (superabili con una prova contraria rigorosa e specifica)".

 

Quindi già adesso, grazie alla Consulta, le nostre leggi contro la mafia sono state integrate?

"Certo. È accaduto, per esempio, quanto la Corte è intervenuta sulla presunzione assoluta della custodia cautelare in carcere per i mafiosi, trasformandola in una presunzione relativa: e cioè il carcere rimane la regola per i mafiosi, ma è possibile, in presenza di circostanze specifiche ben documentate e provate, sostituirlo in alcuni casi con una misura meno afflittiva".

 

In concreto cosa suggerisce?

"La regola italiana è fondata su una "presunzione assoluta" di pericolosità sociale del mafioso detenuto che abbia scelto di non collaborare con la magistratura. La Cedu ci chiede di superare questa assolutezza: si potrebbe pensare di farlo seguendo la Consulta. Al mafioso che non collabora non si possono concedere i benefici penitenziari, ma si può derogare nei casi specifici e rigorosi in cui il giudice ritenga di poter escludere la pericolosità sociale del detenuto anche in assenza di collaborazione".