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di Liana Milella


La Repubblica, 6 ottobre 2019

 

I diritti contano, è fin troppo ovvio. Ma tra i diritti delle vittime e quelli dei carnefici quali contano di più? Non solo: chi, come scelta di vita, decide scientemente di perseguire lo stragismo, mafioso o terroristico che sia, può poi rivendicare per sé i medesimi diritti che spettano a ogni altro uomo che non abbia tenuto comportamenti così devastanti per la vita di tanti innocenti?

Bisogna partire da qui per capire chi ha ragione sull'ergastolo "ostativo". Locuzione difficile per i non addetti ai lavori, che vuol dire semplicemente questo: se hai commesso un delitto gravissimo e sei stato condannato all'ergastolo, cioè al cosiddetto "fine pena mai", e appartieni a un'organizzazione mafiosa o a un gruppo terroristico, non potrai ottenere e godere dei benefici penitenziari come gli altri detenuti "normali" finché non avrai deciso di dimostrare una reale collaborazione con lo Stato.

Un comportamento, cioè, che equivalga a una rottura definitiva con il passato, tale per cui un passo indietro non sarà mai più possibile, pena la vendetta dell'organizzazione di cui hai fatto parte. Norma "sacrosanta", dicono magistrati antimafia come Nino Di Matteo e Federico Cafiero De Raho. Norma "inaccettabile" ribattono garantisti come Luigi Manconi.

Norma che, se cancellata, produrrebbe "conseguenze gravissime" nella lotta alla mafia, come si affanna a dire da giorni il Guardasigilli Alfonso Bonafede che è in allarme per l'imminente decisione della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo proprio sull'ergastolo ostativo. E che, come dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, comporta "il serio rischio di far uscire dal carcere anche boss mafiosi e terroristi".

Di certo, se la norma dovesse cadere si aprirebbe un fronte favorevole ai 957 detenuti oggi trattenuti con l'ergastolo ostativo per i loro crimini da cui certo non si sono dissociati. E perché rappresenterebbe di fatto quel cedimento dello Stato che Totò Riina, indiscusso capo di Cosa nostra fino alla sua morte, chiese nel noto "papello" del 1993, nelle sue condizioni allo Stato per porre fine alle stragi di mafia, dagli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, alle bombe di Roma, Firenze e Milano, alla programmata strage dell'Olimpico, alla bomba in un tombino per Piero Grasso.

Eppure la Cedu a giugno ha già deciso contro l'ergastolo ostativo. L'Italia ha presentato ricorso. Domani la Grand Chambre, la Cassazione della Cedu, dovrà pronunciarsi. Scatta l'allarme di chi per una vita ha indagato sulla mafia. Perché non v'è dubbio che i mafiosi temono proprio l'isolamento dell'ergastolo, la negazione di quei benefici - permessi premio, lavoro esterno, misure alternative - che permetterebbero di proseguire i contatti con l'organizzazione, perfino di comandarla.

Qui si torna ai diritti, che sicuramente spettano a ogni essere umano, anche detenuto, ma solo se non diventano un'offesa per le vittime. Chi ha visto cadere i propri cari per mano mafiosa ha diritto di veder scontare una pena rigorosa. Che si può interrompere, come prevede oggi la legge, ma solo dopo comportamenti che azzerano il passato criminale.