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di Greta Privitera


Vanity Fair, 2 ottobre 2019

 

Dai voti brillanti all'overdose: la storia di Anna è quella di tantissimi americani caduti nella trappola degli antidolorifici facili e dell'eroina. Un'epidemia che si può fermare solo colpendo Big Pharma. Nel 2017 30 mila americani sono morti di overdose da oppiacei. La dipendenza di solito inizia con la prescrizione di potenti antidolorifici che creano assuefazione in tempi rapidissimi.

Anna - leggings, felpa lunga e chignon biondo spettinato - era la più bella di First Street. Sapeva di esserlo, ma non lo dava a vedere, soprattutto alle ragazzine vicine di casa che la studiavano da dietro le persiane delle loro camerette. Nel quartiere, un sobborgo per ricchi dirigenti di Ford e General Motors a 30 chilometri da Detroit, dicevano che era la più brava delle tre sorelle: prendeva bei voti e giocava a calcio nella squadra del liceo. Piaceva a un sacco di ragazzi: era l'immagine dell'adolescente modello.

Finito il liceo è partita per il college, io sono rientrata in Italia e ci siamo perse di vista, ma ogni volta che tornavo in Michigan avevo notizie dei suoi successi: aveva preso due lauree in marketing. Sui social la sua vita sembrava perfetta: selfie con le amiche, fidanzati bellissimi, feste universitarie e vacanze in bikini. Poi, un pomeriggio post natalizio del 2015, l'ho incontrata in un centro commerciale vicino a casa sua: vederla mi ha sconvolto. "Quel periodo è stato il più difficile della mia dipendenza", racconta ora, "ero appena passata al metadone".

Non lo sapevo, nessuno sapeva, e ritrovarmi davanti alla sua versione infernale mi ha sconvolto: aveva la pelle grigia e gli occhi socchiusi, i pensieri sconnessi e trenta chili in più che la rendevano irriconoscibile. Quando ho chiesto informazioni ad amici comuni mi è stato risposto: "Soffre di mal di testa fortissimi, ed è in cura". Poi, un anno dopo, è stata proprio lei che su Facebook ha spiegato l'abisso: "Sono lucida, da un mese. Ho fatto uso di oppioidi, e poi di eroina, per 4 anni".

La storia di Anna assomiglia a quella delle protagoniste di Euphoria, la serie Hbo in onda dal 26 settembre su Sky Atlantic, che racconta il tormento di un gruppo di adolescenti tra droga, alcol e sesso. E proprio come Rue - interpretata dalla bravissima Zendaya - dice: "So solo che a un certo punto non volevo altro che provare quella sensazione di nulla totale".

Anna ha fatto parte delle centinaia di migliaia di americani dipendenti da farmaci a base di oppio che negli Stati Uniti chiamano opiodemic, l'epidemia che nel 2017 ha ucciso per overdose trentamila persone. "Tutto è partito davvero da un mal di testa. In alcuni momenti il dolore era così forte che finivo in ospedale. Dopo il college sono tornata a vivere dai miei per capire che cosa mi stesse succedendo. Un dottore mi ha prescritto un antidolorifico oppiaceo, il Vicodin, quello del Dr. House per capirci, ed è iniziata così la mia dipendenza". Dice di ricordarsi molto bene la sensazione che ha provato la prima volta che in pronto soccorso le hanno fatto una flebo di Dilaudid, un potente analgesico derivato dalla morfina: "Mi sono detta "non so che cosa sia, ma so che mi piace moltissimo".

Gli analgesici che le prescrivevano erano quelli che si danno per la cura del dolore nel post operatorio, o nelle terapie palliative. Nel suo caso, come in tanti altri, il dottore era diventato lo spacciatore legale. Anna oggi si chiede se questi professionisti agiscano in buona fede oppure no. Nelle ultime settimane, le due multinazionali farmaceutiche Purdue Pharma e Johnson & Johnson sono finite sulle prime pagine dei giornali perché accusate di essere tra i colpevoli della opiodemic, per il loro marketing aggressivo che spinge i medici a prescrivere i farmaci a base di oppioidi anche quando non è necessario.

"C'erano giorni in cui ingoiavo anche venti pillole in 24 ore". Usava Vicodin, Dilaudid, Benadryl, Oxycontin, Norco. Non ha mai provato il Fentanyl, l'oppiaceo sintetico, ottanta volte più forte della morfina, che lo scorso agosto ha ucciso Andrea Zamperoni, lo chef italiano che viveva a New York, e che negli ultimi anni sta facendo una strage.

"Queste pillole mi facevano sentire bene, invincibile, anestetizzavano la mia tristezza, mi rendevano euforica, almeno per un po'. E per avere le prescrizioni mi sono trasformata in un'attrice". Quando non aveva più niente in casa, andava su internet e leggeva i sintomi peggiori per mentire ai dottori del pronto soccorso che alla fine la riempivano delle sostanze di cui aveva bisogno. Comprava anche dagli spacciatori di prescrizioni che vendevano le prescrizioni di anziani bisognosi di fare qualche soldo.

"Né i miei amici, né la mia famiglia immaginavano nulla. In quel periodo facevo la cameriera e mi illudevo che, una volta risolti i miei casini, avrei trovato il lavoro dei sogni. In realtà pensavo solo a come recuperare l'oppio e non farmi beccare. Finché ho potuto ho curato la superficie - belle macchine, bei vestiti - per nascondere il marcio che era cresciuto sotto". Ma poi non ce l'ha più fatta, la dipendenza era impossibile da mascherare.

"Non avevo più un amico. Condividevo il mio problema solo con i fidanzati, ragazzi con altri segreti da nascondere. Era come se tra simili avessimo un tacito accordo di copertura: "Io non dico cosa fai, tu non dici cosa faccio"". Uno di questi usava l'eroina, abitava in un paese vicino al suo, tra i suburb più ricchi d'America. "Una sera del 2014, mentre guardavamo un episodio di Breaking Bad, l'ho provata anch'io e ci sono finita dentro. La sniffavamo, a volte ce la facevamo in vena. Poi, quando lui ha deciso di disintossicarsi, ci siamo lasciati".

Anna racconta che nel 2015 ormai era chiaro che la sua vita fosse un disastro, ma sua madre e suo padre facevano fatica ad ammetterlo, sapevano che abusava di farmaci che loro chiamavano "per il mal di testa" ma non volevano vedere tutto il resto. "Sono anche finita in carcere dopo aver guidato senza patente, me l'avevano tolta per guida in stato di ebbrezza. Ci sono stata due mesi. Lì, le compagne di cella mi hanno insegnato come trovare l'eroina a Detroit: ora che non avevo il fidanzato dovevo arrangiarmi". Ammette però che ha sempre preferito le medicine all'eroina, non le piaceva bucarsi, nemmeno andare dagli spacciatori: "I dottori erano meglio", dice.

Nei quattro anni di dipendenza, Anna ha avuto almeno quindici crisi di astinenza: "Come stai male quando non hai l'oppio in circolo è impossibile da spiegare. Ti senti sotto un treno, vai fuori di testa, vomiti, non riesci a mangiare, vuoi solo sdraiarti su un pavimento fresco perché dentro vai a fuoco, piangi, speri di morire. L'unica soluzione è rifarti". Nell'ultimo periodo non usciva nemmeno più di casa, lo faceva solo per prendere la roba.

"Mi capitava di pippare in cameretta, mentre mia madre era in cucina a preparare la cena, e magari mia nipote nella stanza accanto a disegnare". Ormai sniffava per scendere dal letto, per stare in piedi, per camminare, per respirare. Una sera, durante una cena in famiglia, la sorella più piccola, litigando con i genitori, ha svelato il segreto: "Vi arrabbiate con me, ma non vi rendete conto che quella si fa di eroina?".

Finalmente il sipario era crollato e Anna poteva piangere, disperarsi e chiedere aiuto, non c'era più nessuna parte da brava ragazza da recitare. La madre è diventata l'angelo custode che l'ha accompagnata nel percorso di disintossicazione: prima il metadone, poi la rehab, e infine la comunità in Florida, nella quale ha vissuto due anni, dal 2016 al 2018. "Oggi ho 30 anni e vivo dai miei nonni a due chilometri da casa dei miei genitori. Faccio la cameriera in un ristorante italiano della zona e l'anno prossimo vorrei iscrivermi a veterinaria".