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di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2019

 

La Corte costituzionale limita la punibilità del suicidio assistito. E, dopo una tormentata camera di consiglio, con un comunicato diffuso in serata, torna a chiedere con forza una legge che viene ritenuta "indispensabile". Nello stesso tempo, dopo un anno trascorso nell'attesa di un intervento del Parlamento, la Consulta mette nero su bianco le condizioni cui subordinare la non punibilità. Una determinazione che è resa necessaria, come peraltro già scritto nell'ordinanza n. 207 del 2018, per evitare abusi nei confronti di persone particolarmente vulnerabili.

E proprio sulle caratteristiche della persona che intende porre fine alla propria vita si sofferma una parte del comunicato della Corte. Perché si dovrà trattare di un paziente tenuto in vita "da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli".

E poi, la decisione, le cui motivazioni saranno depositate solo tra qualche tempo, condiziona la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato sulle cure palliative e sulla sedazione profonda, la legge n. 219 del 2017, con particolare riferimento agli articoli 1 e 2. Verifica delle condizioni richieste e delle modalità di esecuzione che andranno effettuate da una struttura pubblica, del Servizio sanitario, dopo avere sentito il parere del comitato etico competente per territorio.

"Da oggi in Italia siamo tutti più liberi, anche quelli che non sono d'accordo. Ho aiutato Fabiano perché ho considerato un mio dovere farlo. La Corte costituzionale ha chiarito che era anche un suo diritto costituzionale per non dover subire sofferenze atroci. È una vittoria di Fabo e della disobbedienza civile, ottenuta mentre la politica ufficiale girava la testa dall'altra parte. Ora è necessaria una legge", questo il commento di Marco Cappato, che prima agevolò il suicidio di Dj Fabo e poi, autodenunciandosi, ha determinato il caso sul quale ieri si è pronunciata la Corte costituzionale.

 

Conta la volontà di chi soffre

 

Non trattiene la soddisfazione Vittorio Manes, legale di Marco Cappato davanti alla Corte costituzionale e docente di Diritto penale a Bologna, alla notizia della decisione della Consulta: "si tratta di una tappa storica per la civilità del diritto e per i diritti dei malati".

 

La Cei esprime sconcerto e distanza dalla scelta della Corte, soprattutto per la spinta culturale che potrà spingere chi soffre a considerare scelta di dignità quella di mettere fine alla propria vita. Le pare una soluzione equilibrata quella per ora solo annunciata dal comunicato?

Senz'altro sì. Anche se naturalmente bisognerà leggere le motivazioni. Va detto già da ora e con forza che con questa sentenza non è riconosciuto il diritto al suicidio e, tantomeno, un diritto illimitato di morire. Emerge invece un diritto penale illuminato, che si ritrae, in questo senso liberale: si individua un'area di non punibilità per chi invece decide di raccogliere la richiesta di solidarietà da parte di una persona che soffre, ma tuttavia è in grado di autodeterminarsi.

 

Ecco, a questo proposito, la decisione fa riferimento alle garanzie assicurate dalla legge sul consenso informato. Le pare sufficiente?

Si tratta di una normativa cui la stessa Corte faceva riferimento nella sua ordinanza di un anno fa e che ora è riconosciuta idonea a garantire la tassatività della nuova area di non punibilità. Una legge che riconosce ad ogni persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, anche se necessario alla propria sopravvivenza, con forme di manifestazione della volontà chiare e documentate. Una procedura medicalizzata. Mi sembra un richiamo opportuno, anche per evitare distorsioni e abusi.

 

A questo punto però cosa succederà a Marco Cappato, che ha agito quando queste condizioni non erano state formalizzate?

È da vedere. Tuttavia le righe finali del comunicato della Corte costituzionale lasciano espressamente capire che, con riferimento alle condotte già realizzate, starà all'autorità giudiziaria valutare l'esistenza di condizioni in sostanza equivalenti a quelle ora delineate.