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di Nicola Pinna

 

La Stampa, 15 settembre 2019

 

Il carabiniere: "Spero che il nuovo governo si occupi presto di difendermi". Riccardo Casamassima sa che questa intervista gli costerà un'altra punizione. Il sesto procedimento disciplinare, quello che rischia di costargli anche la perdita del grado, cioè il licenziamento. In realtà aveva provato a evitarla l'ennesima punizione e aveva chiesto il permesso di raccontare questa vicenda. Ma poche ore prima dell'incontro un maresciallo gli ha notificato il divieto scritto.

 

Perché ha deciso di rischiare ancora?

"Voglio solo chiedere aiuto: vorrei attirare l'attenzione del governo, magari del premier e del nuovo ministro della Difesa. Vorrei raccontar loro quello che sto passando. Ho solo la colpa di aver riferito quello che sapevo sul caso Cucchi: sarebbe il dovere di ogni cittadino, specie di un carabiniere".

 

Qualcuno le ha mai detto che non avrebbe dovuto riferire quella confidenza?

"Nessuno è stato così esplicito ma da quando ho testimoniato sono stato insultato, soprattutto sui social. Da quel momento la vita è diventata impossibile".

 

Come mai ha raccontato quella confidenza solo nel 2015?

"Non avevo seguito il caso e poi temevo di essere preso di mira. Come infatti è successo dopo".

 

Perché considera punitivo il trasferimento dall'8° Reggimento alla Scuola allievi?

"Dopo aver fatto centinaia di arresti e dopo aver ottenuto numerosi encomi per l'attività operativa, mi sono ritrovato ad aprire e chiudere un cancello. Non è solo una questione di demansionamento, ma anche un danno economico: tra straordinari vietati e altre indennità perse mi sono ritrovato uno stipendio ridotto di 300 euro".

 

Dopo il cancello cosa è successo? A cosa sono servite le sue proteste?

"Mi sono ritrovato in un ufficio senza competenze. Da solo, a guardare il muro e a occuparmi di nulla".

 

Tutti i militari cambiano incarico e spesso svolgono mansioni poco gratificanti. Perché considera i trasferimenti una punizione?

"Per il danno economico e per la coincidenza con la testimonianza. Dopo la denuncia ho lavorato col collega finito sotto inchiesta per 3 anni e non è successo niente. Quando ho parlato in tribunale è iniziato l'incubo".

 

Lei ha deciso di denunciare questa situazione: cosa è successo dopo?

"Ho subito 4 azioni disciplinari: 3 "procedimenti di corpo" si sono conclusi con 16 giorni di consegna, il quarto deve ancora svolgersi".

 

Ma adesso è partito un altro procedimento?

"Sì, più grave, "di stato", per le ultime denunce sui social. In caso di condanna rischio di perdere il lavoro".

 

Nel frattempo è finito anche sotto inchiesta penale. È accusato di spaccio. Come mai?

"Indagine aperta dopo la mia denuncia, basata su un'intercettazione del 2014, quando una pregiudicata - alla quale avevo dato dei soldi per aiutare i suoi bimbi piccoli - racconta che io spacciavo droga. Diceva anche che avrebbe fatto del male ai miei figli, ma visto che nessuno la considerava credibile non ci fu alcun intervento, neanche per difendere i miei bambini. Dopo alcuni anni, guarda caso, quella telefonata è diventata importante per un'inchiesta nei miei confronti. Comunque aspettiamo il processo e vedremo come andrà a finire. Io gli spacciatori li ho sempre combattuti".

 

Adesso cosa chiede?

"Di tornare a fare il lavoro di prima o di lavorare in una caserma più vicina a quella in cui sta mia moglie, anche lei carabiniere. Sarebbe il ricongiungimento familiare che solo a me viene negato".