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di Ferruccio de Bortoli


Corriere della Sera, 15 settembre 2019

 

L'ebbrezza del potere, anche se condiviso con gli odiati nemici del giorno prima, gioca brutti scherzi. Sia alla parte gialla che rivendica la continuità, sia alla parte rossa orgogliosa di una svolta tutta da dimostrare. Le due anime restano separate. Da sole sembrano voler cambiare il mondo. Con le migliori intenzioni. Insieme mostrano ancora - speriamo per poco - la tristezza e il disagio delle compagnie sgradite, la sofferenza di un governo preterintenzionale, non voluto. In troppi si affrettano poi, in questi primi giorni, ad annunciare misure delle quali trascurano sia la complessità sia, ed è peggio, il costo. Dimenticando quello che è accaduto in passato. E gli insuccessi della loro stessa parte politica. Solo alcuni esempi per non parlare sempre di clausole di salvaguardia o di cuneo fiscale. Temi però non minori, anzi.

Il neoministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, pd, ha perfettamente ragione nel denunciare la "povertà educativa minorile". È una vera emergenza. Anzi, una vergogna nazionale. E sarebbe bellissimo se le scuole fossero "aperte tutto il giorno anche ai genitori" come ha dichiarato a Repubblica. E così gli asili nido per tutti e gratuiti per i redditi medio-bassi.

Del resto è la priorità del programma di governo anche nelle parole del premier Conte 2. E non è la prima volta. "Mille asili nido in mille giorni" aveva detto Renzi nel 2014. Subito mille nidi, si era sbilanciato Salvini con la Lega al governo. Ci eravamo impegnati con l'Unione europea ad assicurare un nido ad almeno un terzo dei bambini entro il 2010.

Ancora oggi, secondo uno studio della Funzione pubblica della Cgil, di cui è segretaria generale Serena Sorrentino, tre su quattro ne sono esclusi. La spesa dei Comuni è calata, cresce quella privata, le rette sono molto aumentate. Mancano ventimila tra educatori e maestre. Enormi le disparità. La Calabria spende 88 euro per ogni bambino; il Trentino Alto Adige 2 mila 209. Forse un po' di prudenza e realismo non guasterebbero. Da parte di tutti. Provenzano però la soluzione sembra averla in tasca per investire nella scuola e nell'educazione al Sud.

"Metto a disposizione 15 miliardi dei fondi di coesione europei. Inviate i progetti". Semplice, ma allora perché prima, nei tanti governi anche a guida Pd, non si è mai fatto nulla del genere? "Loro erano il governo della flat tax e dei mini Bot, noi degli asili nido" ha detto il neoministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, persona preparata, competente. Auguri sia a Provenzano sia a Gualtieri.

Lorenzo Fioramonti, Cinque Stelle, neoministro dell'Istruzione, parlando sul Corrierecon Gianna Fregonara, ha minacciato di dimettersi entro Natale se a scuola, università e ricerca non andranno subito tre miliardi. Bisogna dare atto a Fioramonti che è l'unico - tra i tanti che hanno vagheggiato nuove spese - a indicare anche dove trovare le risorse. Tassando le "esternalità negative", cioè le abitudini poco salutari o dannose per l'ambiente. Giusto. Ma iniziando dalle merendine e dalle bibite gassate, ovvero dai consumi decisamente popolari?

Fioramonti ha ragione: bisogna investire di più. Ma anche preoccuparsi della qualità e dell'efficacia della spesa. Se avesse detto: voglio vedere come spendiamo i soldi dei contribuenti e soprattutto se promuoviamo il merito e l'eccellenza, probabilmente non se lo sarebbe filato nessuno. Succede in Italia.

Roberto Speranza, Leu, la terza forza del governo giallorosso, vuole abolire il superticket della Sanità, introdotto per la prima volta dal governo Prodi nel 2007. Il costo è stimato tra i 600 e gli 800 milioni. Dove trovarli? E siamo sicuri che in un Paese che invecchia con una Sanità sempre più costosa questo sia un segnale corretto? Speranza, intervistato da Monica Guerzoni sul Corriere, non dice come recuperare le risorse per abolire il super-ticket. Anzi, ne vuole di più.

Basta tagli. E spiega che le risorse messe nella Sanità "sono un investimento sulla vita delle persone e non possono essere banalmente considerate spesa pubblica". Fosse vero vivremmo nel migliore dei mondi possibili. La spending review sarebbe inutile. Basta introdurre una nuova voce nel bilancio dello Stato: investimenti sulla vita delle persone. Semplice.

Potremmo intrattenerci su altre dichiarazioni azzardate, per la verità dei desiderata personali. Affermazioni dirette più a difendere l'identità politica di ministri, viceministri e sottosegretari, che a tracciare le linee portanti dell'attività di governo. Spetterà a Conte fare una sintesi e ricondurre i sogni nello stretto alveo della realtà della finanza pubblica. Però non può non essere menzionata una frase di Francesco Boccia, neoministro agli Affari regionali.

Boccia afferma sul Messaggero: "È giusto che Roma abbia poteri da capitale e risorse adeguate. Per non parlare poi dell'assetto istituzionale, il modello adottato da Berlino può essere una soluzione". Addirittura. Ci saremmo accontentati del solo impegno a non scaricare su tutti i contribuenti italiani, specie quelli che vivono in città più virtuose e amministrate meglio - come è avvenuto anche con il governo gialloverde - parte dei debiti della capitale. Ovvero, l'esatto opposto del principio del regionalismo differenziato.